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c’è niente da fare: Woody Allen,
cinematograficamente parlando, ha sempre avuto un rapporto preferenziale con la
propria vita e le proprie fobie, tutte finite una volta o l’altra in qualcuno
dei suoi film. Hollywood
Ending segna però l’apoteosi dell’attitudine autoreferenziale del
cineasta newyorchese, perché è arduo pensare a qualcosa di più alleniano di un
regista (o meglio un auteur) che ha sfondato, vinto un paio di premi Oscar e quindi causato il declino della
propria carriera per eccesso di pruderies autoriali e smanie
caratteriali, riducendosi a fare pubblicità (ma d’autore) per tirare avanti: il
regista in questione, Val Waxman,
si vede offrire di punto in bianco e su un piatto d’argento il film del suo
grande ritorno. Unico dettaglio stonato: la sospirata regia è caldeggiata per
l’appunto dall’ex
moglie (mai dimenticata) di Waxman, ora fidanzata dell’odioso tycoon
hollywoodiano della Galaxy Pictures che dovrebbe produrre il film ad alto budget
(sessanta milioni di dollari), l’uomo per il quale il regista è stato piantato. Non basta? E
allora aggiungiamo qualcosa di più alleniano ancora: per quanto si tratti della
grande occasione che potrebbe rimetterlo in pista assicurandogli una dorata
maturità autoriale, il protagonista, davanti ad un film inneggiante a New York
che potrebbe girare a occhi chiusi, si troverà per l’appunto a dirigerlo
affetto da (inspiegabile) cecità psicosomatica – un timore fisiologico su cui Allen aveva già giocato
con la miopia in Criminali
da strapazzo e con la geniale intuizione dell’uomo sfocato di Harry a pezzi –. Si
tratta soltanto di un disturbo temporaneo, ma che di fatto lo ha reso cieco
come una talpa alla vigilia del primo giorno di riprese. Una volta portato a
termine il film senza che nessuno (o quasi) si sia accorto del suo ‘problema’,
il nostro regista (e soprattutto il suo produttore) rimarrà sconvolto
dall’incomprensibile montaggio del materiale girato ma, dulcis in fundo,
nonostante in patria siffatto caos cinematografico da disturbo psicosomatico
sia demolito da pubblico e critica secondo copione, in Europa sarà interpretato
come geniale e, va da sé, autoriale. Precisiamo infine che il protagonista
di Hollywood Ending all’inizio vive con una tizia dotata del Q.I. di un
divano e alla fine potrà riprendere il sogno di trasferirsi a Parigi interrotto
anni prima per sopravvenuto divorzio dalla moglie Ellie. In mezzo esilaranti
battute a ripetizione, sketchs divertenti e satira a getto continuo a
bersagliare il fatuo mondo della megaproduzioni hollywoodiane. Giova ricordare
che Hollywood Ending ha costituito l’evento d’apertura del Festival di Cannes edizione
2002, il palcoscenico ideale del film, considerandone la dinamica
narrativa. Sicuramente non si tratta del miglior Allen possibile ma Hollywood
Ending scivola via intrigando a più riprese e lasciando un retrogusto
meditativo che vale il prezzo del biglietto. Un delizioso esempio di metacinema.
Hollywood
Ending, regia di Woody Allen, con Woody Allen, Téa Leoni, Treat
Williams, Mark Rydell, Debra Messing, Tiffani-Amber Thiessen, Barney Cheng,
Erica Leerhsen; commedia; Usa; 2002; C.; dur. 1h e 50’
Voto
7½