La vampa d'agosto
La luna di carta
Privo di titolo
La prima indagine di Montalbano
La presa di Macallč
Il giro di boa
Le inchieste del commissario Collura
Camilleri legge Montalbano
La linea della palma
La paura di Montalbano
Il ladro di merendine in Cd-rom
Il re di Girgenti
L'odore della notte
La scomparsa di Patň
La testa ci fa dire
La gita a Tindari
Gli arancini di Montalbano
La mossa del cavallo
La concessione del telefono
Secondo
consolidata abitudine Andrea Camilleri continua ad alternarsi tra il genere
poliziesco ed il romanzo storico, sempre rigorosamente ambientati in quel di
Vigŕta, un pezzo di Sicilia virtuale piů tipica di qualunque cittadina
siciliana reale. L’ultima fatica dell’inossidabile narratore di Porto
Empedocle, classe 1925, appartiene alla seconda categoria ma, rispetto alle
prove storiche precedenti, č dotata di un alto tasso sociopolitico aggiunto, in
percentuali mai raggiunte da Camilleri
nel suo breve ma denso apprendistato letterario: con lucida consapevolezza
l’autore della saga del commissario Montalbano ha elaborato un’ordinaria storia
di brutalizzazione infantile ambientata nei tempi del fascismo, ed in aggiunta
consentita dal particolare scenario culturale, sociale e religioso del
famigerato ventennio. La prospettiva, come sempre, č quella estremamente
provinciale assicurata dall’ambientazione vigŕtesca: il protagonista č
Michilino, sei anni, un “picciliddro” figlio del camerata Giugiů, un gerarca
fascista locale che risulta il principale responsabile della mentalitŕ della
propria casa, in cui il fascismo viene avanti a tutto, la religione č sacra e
mettere le corna č lecito per il pater familias, punibile al contrario
con le botte e la separazione nel caso l’adultera sia la moglie. In un simile
contesto pare naturale che Michilino, affidato alle pedagogiche cure del
professore Gorgerino, pedofilo e capo dell'Opera nazionale Balilla, finisca brutalizzato
dall’insegnante privato, magari tacitamente poi punito dal padre, che cala un
pietoso (ed ipocrita) silenzio sul tremendo trauma subito dal figlio. E’ cosě
che il piccolo, grottesco antieroe de La presa di
Macallč, peraltro nato con un cospicuo e precoce armamentario sessuale,
cresce mettendo Dio e il Duce davanti a tutto, convinto che i comunisti non
siano propriamente uomini, ma bestie – e dunque che ucciderli non sia peccato
–. La casa di Michilino, pervasa dalla mitologia fascista, riflette nel suo
piccolo l’intera Vigŕta,
completamente soggiogata (clero incluso) dal barocco apparato del regime, con
le parate, l’esibizione virile, le armi, le continue celebrazioni delle
vittorie fasciste in Africa, compresa quella di Macallč. Camilleri con intrigante
perizia ricostruisce le fastigia di un malessere sociopolitico che aveva
contagiato gran parte della societŕ italiana coeva e, con la paradigmatica e
tragica vicenda del suo piccolo protagonista, scrive una pagina provocatoria
contro l’ideologia fascista e i turpi effetti esercitati sulla psiche dei piů
deboli ed indifesi. In breve le avventure di Michilino prendono una sinistra
piega quando il “picciliddro” comincia ad impegnarsi attivamente per difendere
i sacri valori del Cristianesimo e del Fascismo, a costo di commettere delitti
a fin di bene ed autoincensarsi punitivamente per il bene della propria
famiglia e della propria anima nel teso, allucinato finale. Con La presa di
Macallč Camilleri ha colpito nel segno schierandosi apertamente: il romanzo č
affilato come la lama di un rasoio, provoca, rimesta nel torbido e non teme le
asperitŕ del grottesco piů estremo.
Andrea Camilleri, La presa di Macallč, Palermo, Sellerio, 2003; pp. 274
Voto
8