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Michele Cecchini
dall’aprile a shantih
Livorno, Erasmo edizioni, 2010; 157 pp.
dall’aprile a shantih

 




                     di Hans Honnacker


"Parigi, aprile 1750. La città è in preda al panico: da qualche tempo si verificano misteriosi rapimenti di bambini. In un condominio di Lucca alla fine del ’900 avviene un episodio analogo: due bambini, improvvisamente, scompaiono.” Così recita la quarta di copertina del romanzo del lucchese Michele Cecchini, docente di Lettere presso un liceo empolese. L’intricata storia sul misterioso rapimento dei due bambini a Lucca è divisa, sulla scia del modello pariniano de "Il giorno" (1763-65), in tre parti: Mattino, Pomeriggio e Sera. Il lettore viene a conoscere via via il microcosmo di un condominio lucchese, apparentemente uno come tanti altri, ma “contraddistinto da provvisorietà e cinismo, popolato da personaggi privi di identità, intimoriti, incapaci di relazioni autentiche, prigionieri di forme di conoscenza parziali e contraddittorie”. Nondimeno in questo mondo tetro di quotidianità meschina non mancano pagine esilaranti, come ad esempio la descrizione dell’inquilina napoletana, Clelia Marangoni: “La Marangoni, che quanto a ipocrisia non si può mai dire, ma che diffidente, chiusa e taccagna di sicuro non era, aveva avuto il fegato di calarsi con entusiasmo – entusiasmo: altra virtù ritenuta estranea a quelle latitudini – nella vita cittadina, dispensando confidenze a facce ombrose, grigie, impenetrabili, agevolata probabilmente dal fatto che i suoi monologhi da pianerottolo sempre prescindevano dall’interlocutore e relative chiose e contromosse, procedendo indefessi lungo i binari del resoconto cronachistico iperdettagliato, del giudizio morale o della pomposa enunciazione di un assioma.” Il decorrere della giornata lucchese, scandito da didascalie del narratore, di decameroniana memoria, è ‘incorniciato’ da un prologo ed un epilogo parigini, in cui viene riportato un fatto di cronaca piuttosto inquietante di violenza sui minori. Sembra che il fatto di sangue, commesso a quanto pare per pratiche di magia nera, faccia da controcanto all’età dei Lumi in cui è ambientato. Così come le cacce alle streghe ed i processi agli eretici si moltiplicarono agli albori dell’Età moderna, nel Quattro e Cinquecento europeo, e non nel Medioevo, come si crede spesso erroneamente, avvennero fatti di inaudita violenza e di barbarie in un’età, il Settecento, che faceva della ragione umana la sua guida. L’analogia che Cecchini stabilisce tra fatti di cronaca del Sette e Novecento, ci suggerisce una constatazione simile anche per la nostra epoca postmoderna, apparentemente così ‘illuminata’, nella quale, come scrive Umberto Eco, da quando non si crede più in Dio, si crede in tutto, perdendo il ‘lume’ della ragione. Sembra che l’epilogo del romanzo dell’autore lucchese, intitolato shantih, parola chiave già fin dal titolo, faccia da contraltare a questa cupa analisi della società di allora e di oggi: la parola sanscrita Śānti (anglicizzata shanti) indica nella religione induista, uno stato di assoluta pace interiore e di serena imperturbabilità, paragonabile al concetto stoico ed epicureo dell’atarassia. È probabilmente un augurio per una società come la nostra che nonostante il benessere diffuso non trova pace, ma è anche una reminiscenza letteraria, se si pensa alla conclusione di "The Waste Land" (La terra desolata, 1922) di Thomas Stearns Eliot. Una prima prova da romanziere davvero notevole, scritta in parte in dialetto lucchese, da non perdere anche per il suo sperimentalismo linguistico.

Voto 8 

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