A seguito di una lunga malattia, lo scrittore Antonio
Tabucchi scomparso il 25 marzo 2012 a Lisbona, all'età di 68 anni. Per ricordare l’autore del celebre Sostiene Pereira, abbiamo deciso di rispolverare il suo Tristano muore, un romanzo decisamente sui
generis, che il fine intellettuale toscano pubblicò dopo le epistole amorose di
Si sta facendo sempre più tardi e Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori. Nel caldo torrido dell’ultimo agosto del Novecento seguiamo un moribondo in un’allucinata agonia
che copre un mese intero: siamo in una vecchia casa toscana con Tristano,
protagonista e voce narrante del romanzo, disteso su un letto, con una gamba
in cancrena ed il male che va estendosi
inesorabilmente a tutto il corpo, imbottito a dovere di morfina per sopportare
il dolore. Ad assisterlo c’è la Frau, la stessa vecchia governante che da bambino gli
raccontava poesie e fiabe in tedesco per insegnargli la lingua. Ed al capezzale del moribondo siede anche uno scrittore,
dallo stesso Tristano appositamente convocato per raccogliere la sua testimonianza, i conflitti che tuttora lo dilaniano, i ricordi di una vita intera da cristallizzare sulla pagina scritta: ma non di spicciola biografia si
tratta, dato che lo scriba si limita a trascrivere tout court il caotico
rammemorare del suo testimone. Attanagliato dall’inarrestabile cancrena che gli
sta divorando il corpo, allucinato dalla morfina e stordito da continue emicranie, Tristano
si rivela infatti un narratore tutt’altro che lineare, completamente in balia dei suoi fantasiosi nessi memoriali. Il risultato è un
lungo soliloquio che molto spesso produce qualcosa di pericolosamente simile al
monologo interiore di joyciana memoria. La biografia del protagonista che
riusciamo a ricostruire nel complesso del romanzo è quella di un giovane toscano spedito giocoforza da un dittatore megalomane a spezzare le reni alla Grecia: ma è proprio in terra di conquista che il soldato si ribella
al sistema sparando ad un ufficiale tedesco che a sua volta aveva fatto fuoco su un ragazzo greco, solo perché fischiettava una canzone partigiana. Subito dopo Tristano
entra nella Resistenza locale: tornato in patria dopo l’8 settembre, si arruola
tra i partigiani. E nel delirio come fantasmi della memoria vanno sovrapponendosi anche le donne amate nell’arco di tutta una vita: la Guagliona della Taddeo Zimmer, e la cretese Daphne, sua compagna in Grecia e più tardi anche in Toscana, e l’americana Marilyn, da
lui chiamata Rosamunda, ambigua accusatrice del
maggior atto d’eroismo del protagonista(ma di atto eroico si trattava o di tradimento?). Tristano peraltro è un intellettuale prestato all’azione, non si ritiene mai un eroe, è ben consapevole delle ragioni che lo spingono ad agire e conscio della paura che precede il pericolo. Nell’intricato soliloquio di Tristano
muore la prospettiva personale è legata a doppio filo alla storia italiana, alle promesse non mantenute di un sogno, alla sfumata scomparsa delle ragioni dell’antifascismo, al progressivo dilagare dell’utilitarismo sfrenato
nella società, una società in crescendo amorale e dominata sempre più dalla divinità catodica. Il tutto viene contrappuntato da Tabucchi con un ininterrotto affiorare di schegge di canzoni, sequenze di film, frammenti di bravi scrittori e Leitmotiv sinfonici che hanno accompagnato il morente
Tristano, e noi con lui, fino all’ultima pagina della sua vita, quella in cui ci sarà dato scoprire anche il senso riposto della copertina del libro che abbiamo appena finito di sfogliare.
Antonio
Tabucchi, Tristano muore, Milano, Feltrinelli (“I Narratori”), 2004; pp.
160
Voto
8