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Antonio Tabucchi
Si sta facendo sempre più tardi
Milano, Feltrinelli, 2001; pp. 228
La vita, l'amore e l'epistola...

 




                     di Paolo Boschi


Si sta facendo sempre più tardi
La testa perduta di Damasceno Monteiro
Sostiene Pereira


L’ultima prova narrativa di Antonio Tabucchi, classe 1943, s’intitola Si sta facendo sempre più tardi e, come spiega il sottotitolo, si tratta di un “romanzo in forma di lettere”. Il che non significa che l’approccio dell’autore toscano al genere sia canonico e verta su un’unica trama: strutturalmente l’opera presenta diciassette lettere di personaggi maschili indirizzate ad altrettante destinatarie femminili, e si chiude con l’unica lettera vergata da una donna, che idealmente intende rispondere a tutti gli ignoti mittenti che l’hanno preceduta in fase scrittoria. In pratica, dopo aver sperimentato il romanzo in infinite varianti da Notturno indiano fino a La testa perduta di Damasceno Monteiro (dallo storico al fantastico ed al poliziesco) le roi s’amuse, scardinando il genere del romanzo epistolare, complesso ma poco frequentato, e con una storia e codici precisi che Tabucchi arbitrariamente sceglie di frantumare pervertendoli ai suoi fini. Si sta facendo sempre più tardi pare alludere fin dal titolo all’orologio che ticchetta inesorabile e che ormai ha oltrepassato la logica minimale per cui si scrivono lettere, ovvero per avere risposte, per rinnovare contatti, per ritrovare persone. I personaggi scriventi raccontano storie a soggetti che probabilmente non daranno risposta, rievocano epifanie a distanza (molte davvero indimenticabili) a beneficio di destinatarie che non ci sono, rimembrano un passato idealizzato per donne magari mai esistite, si librano sul presente lasciandolo spesso indefinito. Il motore principale delle diciassette lettere è senza dubbio l’amore, pressoché sempre il ricordo ancora forte di un amore che resta vivo nel momento in cui la penna lo cristallizza su carta, in genere senza neanche troppa razionalità apparente. Le indirizzatarie delle missive sono, immancabilmente, donne ‘vere’, idealizzate o trasfigurate – «Mia cara amica», «Mia dilettissima emoglobina», «Cara, carissima Cara», «Mio amore», «Mia dolce Ofelia», «Mia dolce ragazza dolente» –: le lettere sono molto spesso altrettanti piccoli enigmi, ognuna vaga per località (geografiche o letterarie) appartenenti all’immaginario di Tabucchi – da Parigi ad Oporto, dalle isole greche alla Toscana, dalla Norma a L’Amleto –, lettere che parlano di fughe, di spaccati di realtà divise dal tempo e dallo spazio, di viaggi immaginari, di moti dell’anima. Nei vari capitoli epistolari del romanzo con l’amore, sentito-smembrato-ricordato in ogni sua possibile variazione, Tabucchi ci porta a perderci con i suoi personaggi, e con loro ci fa sentire lo sforzo di ritrovarsi nella scrittura di riappropriarsi dei luoghi cari delle rispettive memorie, nel tentativo di catturare un sogno d’amore perduto ma vivo nel passato, da qualche parte, in qualche gesto ed in qualche situazione. Come li definisce lo stesso Tabucchi nel Post Scriptum, i frammenti (apparentemente) sparsi di Si sta facendo sempre più tardi sono scherzi della memoria, ectoplasmi, equivoci messaggeri, finzioni: un mosaico complesso, enigmatico, talvolta indecifrabile ma sempre sorretto da una prosa davvero all’altezza, capace di stringere la vacuità dell’esistenza, la solitudine affettiva, la malinconia del vivere.

Antonio Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi, Milano, Feltrinelli, 2001; pp. 228

Voto 8 

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