Si sta facendo sempre più tardi
La testa perduta di Damasceno Monteiro
Sostiene Pereira
L’ultima prova narrativa di Antonio Tabucchi,
classe 1943, s’intitola Si sta facendo
sempre più tardi e, come spiega il sottotitolo, si tratta di un
“romanzo in forma di lettere”. Il che non significa che l’approccio dell’autore
toscano al genere sia canonico e verta su un’unica trama: strutturalmente
l’opera presenta diciassette lettere di personaggi maschili indirizzate ad
altrettante destinatarie femminili, e si chiude con l’unica lettera vergata da
una donna, che idealmente intende rispondere a tutti gli ignoti mittenti che
l’hanno preceduta in fase scrittoria. In pratica, dopo aver sperimentato il
romanzo in infinite varianti da Notturno indiano fino a La testa perduta di
Damasceno Monteiro (dallo storico al fantastico ed al poliziesco) le
roi s’amuse, scardinando il genere del romanzo epistolare, complesso ma
poco frequentato, e con una storia e codici precisi che Tabucchi
arbitrariamente sceglie di frantumare pervertendoli ai suoi fini. Si sta facendo sempre
più tardi pare alludere fin dal titolo all’orologio che ticchetta
inesorabile e che ormai ha oltrepassato la logica minimale per cui si scrivono
lettere, ovvero per avere risposte, per rinnovare contatti, per ritrovare
persone. I personaggi scriventi raccontano storie a soggetti che probabilmente
non daranno risposta, rievocano epifanie a distanza (molte davvero indimenticabili) a beneficio di destinatarie che non ci sono,
rimembrano un passato idealizzato per donne magari mai esistite, si librano sul
presente lasciandolo spesso indefinito. Il motore principale delle diciassette
lettere è senza dubbio l’amore, pressoché sempre il ricordo ancora forte di un
amore che resta vivo nel momento in cui la penna lo cristallizza su carta, in
genere senza neanche troppa razionalità apparente. Le indirizzatarie delle
missive sono, immancabilmente, donne ‘vere’, idealizzate o trasfigurate – «Mia
cara amica», «Mia dilettissima emoglobina», «Cara, carissima Cara», «Mio
amore», «Mia dolce Ofelia», «Mia dolce ragazza dolente» –: le lettere sono molto
spesso altrettanti piccoli enigmi, ognuna vaga per località (geografiche o
letterarie) appartenenti all’immaginario di Tabucchi – da Parigi ad Oporto,
dalle isole greche alla Toscana,
dalla Norma a L’Amleto –, lettere che parlano di fughe, di
spaccati di realtà divise dal tempo e dallo spazio, di viaggi immaginari, di
moti dell’anima. Nei vari capitoli epistolari del romanzo con l’amore,
sentito-smembrato-ricordato in ogni sua possibile variazione, Tabucchi ci porta
a perderci con i suoi personaggi, e con loro ci fa sentire lo sforzo di
ritrovarsi nella scrittura di riappropriarsi dei luoghi cari delle rispettive
memorie, nel tentativo di catturare un sogno d’amore perduto ma vivo nel
passato, da qualche parte, in qualche gesto ed in qualche situazione. Come li
definisce lo stesso Tabucchi nel Post
Scriptum, i frammenti (apparentemente) sparsi di Si sta facendo sempre
più tardi sono scherzi della memoria, ectoplasmi, equivoci messaggeri,
finzioni: un mosaico complesso, enigmatico, talvolta indecifrabile ma sempre
sorretto da una prosa davvero all’altezza, capace di stringere la vacuità
dell’esistenza, la solitudine affettiva, la malinconia del vivere.
Antonio Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi,
Milano, Feltrinelli, 2001; pp. 228
Voto
8