Intercity 20, presentazione del festival 2007
Presentazione, Rodrigo Garcia, A un certo punto ...
Recensione, Rodrigo Garcia, A un certo punto ...
Intervista a Rodrigo Garcia
Jimmy, di Marie Brassard
Alias Godot, Regia di David Ferry, 2006
La compagnia Third Angel, Presumption, 2007
Compagnie Yvette Bozsik, Miss Julie, 2007
Patricia Portela, Wasteband, 2007
Akhe, Faust in cube. 2360 Words, 2007
La nuova tonaca di Dio, Nature morte dans un fossé, di John Clifford Tri-boo e di Fausto Paravidino, 2007
Il lunghissimo titolo della nuova produzione di Rodrigo Garcia, “Ad un certo punto della vita dovresti
impegnarti seriamente e smettere di essere ridicolo” (Teatro della Limonaia fino al 16
settembre 2007, info 055.4480628) sicuramente non si
riferisce al contenuto espresso in uno spazio aperto e distrutto, alla fine,
dall’estro catastrofico e caustico dell’autore di area
spagnola. Non è ridicolo, non è serio: gente, è solamente reale. Anche se non condiviso. Anche se tutte le scene, si vede che
Rodrigo
García viene dalla pubblicità e dal videomakeraggio, spot estetizzanti e colorati con
disseminazione di elementi e materiali, corpi e
sostanze, sono intrise di un humour, nero, di una ironia sottile come le
polveri che respiriamo nel traffico che si appiccica ma impossibile da togliere
con una spazzolata. La coscienza non si può lavare con un idrante, il fango - merda a ricciolo (qui non è proprio il caso di chiamarla né
cacca né eufemisticamente escrementi) rimane
impigliato addosso e il lavaggio della superficie è una tortura corporale
inflitta a chi non ha recepito e digerito, analizzato
e spurgato, ansie, frustrazioni, angosce, paure. Rimane, in parallelo a piece precedenti, il gusto per il disgusto, anche se non
sempre allo schifo si può accompagnare anche lo scabroso o lo scandaloso. I
lombrichi sulla schiena o il vomito sulla scena o ancora il pesciolino rosso
frullato (tranquilli, non fa la fine dell’astice anche se
il vizio “animalista” non l’ha perso) fanno da contorno, da sugo, da condimento
alla materia che arriva, passa e se ne va, come schiaffi (le immagini del G8,
il racconto del ragazzo brasiliano ucciso per un cappotto troppo pesante nella
Londra psicotica degli attentati alla metro del ’05, una pellicola hard) ma
leggeri, subito ricondotti ad altre sostanze più liquide, più vischiose. Una
continua prova di forza con la platea con la quale gioca (le parole crociate di
Luca Camilletti sono tanto demenziali
quanto meta teatrali, le frasi lette da un filo uscito come per magia
dalla bocca salivosa dell’attrice). Però, ce lo ricorda e fa bene, siamo con i capelli tirati al suolo
tra l’immondizie e le martellate del quotidiano, conficcati a terra senza
essere Salvatori di nessun popolo, neanche di noi stessi, scossi ed agitati
come il pinnide tra le continue sollecitazioni per
infine essere triturati e spazzati via come una gomma da cancellare usata. Cosa rimane? L’odore nauseabondo delle fialette puzzolenti
(andate a stomaco vuoto, anche se passa l’appetito), lo scheletro sfinito di
una t shirt carbonizzata, una cultura- scrivania
sostenuta da cassette di frutta da mercato. Abbiamo perso la direzione, ci dice
Garcia, siamo belle statuine ingessate, in
scomode posizioni, ghiacciate e ibernate, manichini spostabili.
Voto
8