"Cosa vuoi? – Morire" e "Se arrivasse l’amore", delineano un destino di solitudine, un destino collettivo, individuale e personale. Nel fluire di parole è il gioco folle, spietato e disperato della vita a cui tutti siamo destinati: “io non scrivo che la verità eppure essa mi uccide”. A risultare su tutto è dunque la febbre d’essere della disperata, depressa, alcolizzata, drogata, lesbica, eppure lucida e talentuosa scrittrice.
Sarah Kane, prematuramente scomparsa nel
1999, ha scritto cinque testi teatrali indagando gli abissi del dolore e del desiderio, della speranza e della disperazione".
Uno dei più celebrati, Crave, va in scena dal 26 al 28 febbraio al Teatro
Fabbricone (feriali ore 21, festivo ore 16) come tappa finale di uno studio che il regista Pierpaolo Sepe conduce da alcuni anni sulla drammaturgia dell’autrice britannica e su quest’opera in particolare.
“Qualsiasi modalità si scelga per mettere in scena un testo di Sarah Kane, lo si
tradirà - afferma il regista Pierpaolo Sepe - Il motivo è insito nella scrittura stessa di Crave, in italiano tradotto come Febbre, che racchiude, nel suo titolo originale, il violento e inappagato desiderio dell’autrice per la vita, la bellezza e la verità. Un bisogno tanto irraggiungibile da portarne alla prematura scomparsa per sua stessa mano: una non scelta, l’incapacità assoluta di sopravvivere al mondo, propria delle
anime fragili”.
I protagonisti sulla scena sono quattro - Gabriele Colferai, Dacia D'acunto,
Gabriele Guerra e Morena Rastelli - e se già nel testo della Kane si
chiamano solo A, B, C ed M, anche la regia di Sepe li definisce come entità spersonalizzate, con psicologie che si fondono in
ondate emotive tradotte in immagini violente, dialoghi spezzati, monologhi, singole frasi, invocazioni e frammenti di storie, contorni del mosaico di una vita.
“Non si è mai così
forti come quando si sa di essere deboli se si accetta l’orrore,
l’incapacità, il dolore, l’umanità - dice Pierpaolo Sepe - . Dalla scrittura
della Kane nasce un testo di parole incatenate, rapido susseguirsi di
concetti spezzati e concitati, al teatro spetta il ruolo di trasformarlo in immagini, dar colore all’oscurità, ordine al caos e disordine alla riga. Interpretare e, dunque, tradire, con il desiderio, quello più assoluto. Crave è la febbre, il desiderio di vivere di quattro anime, rinchiuse in un mondo
proprio, nell'incomunicabilità più assoluta che affrontano, soli, con un destino già segnato. D'altronde, cos'è la vita se non una parentesi concitata tra momenti di non esistenza? Vivere è un gioco,
quello dello stare al mondo e “non sempre si può”, almeno non seguendo le proprie regole né tantomeno quelle altrui. La ricerca del sé si infrange contro il muro della realtà e non c'è pace, non c'è amore, non c'è perdono nè
riposo in questo inferno che chiamiamo vita. Sono le parole poetiche della Kane,
dunque, a reggere il gioco teatrale: il reiterarsi delle battute”.
Voto
7 +
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