Santiago, Italia
Mia Madre
Habemus Papam
Il caimano
Cannes 2001: il trionfo di Nanni Moretti
La stanza del figlio
Aprile
Caro diario
Palombella rossa
La messa è finita
Bianca
Ecce bombo
Questo film parte da un addio. Semplicemente il film è un grande lungo addio che parte tutto da una madre in ospedale, anziana e non più in salute. Perché prima di tutto si parte dai sentimenti che trascinano con se un flusso di emozioni instabili e sconnesse, come il presente che stiamo vivendo. Margherita è una regista, e alla stesso tempo è Margherita Buy. Il suo compito è girare un film su gli operai di una fabbrica in sciopero che rischia di chiudere, ma allo stesso
tempo si interroga se ha senso girarlo o pure no. Il fratello Giovanni è Moretti, e anche lui è quanto meno fuori sincrono, assorbito dalla malattia della madre e della consapevolezza che qualcosa si è perso
inesorabilmente. In tutto ciò la finzione è oramai incrinata, è deteriorata, perché tutto quello che si vede è quanto meno frantumato e disperso in pensieri, ricordi o rituali retorici che non trovano sbocco. La regista Margherita chiede all’attore americano tronfio di sé, di non essere solo un interprete, ma di stargli accanto, per sentirlo e iniettarli le sue emozioni.
In fondo Mia madre è un percorso che mette a nudo sia Moretti che la Buy, per oltrepassarli e trovare un nuovo domani. Non c’entra più il Michele Apicella, il Moretti di Caro Diario, il percorso di questo smarrimento che riflette sull’oggi si è innescato con il caimano e trova in questa pellicola la sua ultima metamorfosi, che spinge Moretti a sbagliare a non essere pianamente lucido in tutti i passaggi, ma proprio per questo trova la strada dell’emozione diretta e semplice e non ricattando lo spettatore con le lusinghe funerarie di un inizio che sembrava presagire qualcosa d’altro: ma, per il suo disarmante pensiero riflesso sull’oggi che ci condiziona e che inevitabilmente si rispecchia in ognuno di noi. La madre è generatrice di vita e porta con se una valigia di ricordi: i libri di latino, il dizionario usato, le stanza vissute, che nella sua inevitabile fine sprigiona un implacabile dolore, ma che non annega nella chiusura in se, ma si estende ad uno sguardo oltre ed inevitabilmente pieno di rinnovamento.
Voto
7 ½