The Joshua Tree
Dimmi chi erano gli U2
Pop
The best of 1980-1990
All that you can't leave behind
The best of 1990-2000
Difficile
prescindere dal richiamo di una nuova uscita degli U2,
anche se si tratta di un best of perfettamente inquadrato nella logica
perversa della raccolta antologica, spesso dichiaratamente commerciale. Un
artista segue la sua strada, pubblica qualche disco e, ad un certo punto della
sua carriera, sforna una compilation di successi per capitalizzare in
fretta gli sforzi precedenti. Allargare simile concetto a Bono Vox, The Edge,
Adam Clayton e Larry Mullen Jr. sarebbe quanto meno ingeneroso, perché il gruppo di Dublino, da almeno quindici anni
a questa parte, si è guadagnato a forza di coerenza e talento (connubio
difficile da prolungare nel tempo) il titolo di rock band più
amata a livello planetario. In ogni caso The best of
1990-2000 obbedisce alle regole d’oro del genere miscellaneo – tutti i
successi per i fans dell’ultima ora più gli immancabili inediti per
richiamare collezionisti inveterati –, con l’importante distinguo che
come altri grandi (Beatles,
Dylan e Queen, per citare qualche
nome) Bono e soci hanno ottimamente optato per antologizzare la loro
ragguardevole produzione in più puntate. Se la prima, archiviata in The best of 1980-1990,
poteva contare sull’indubbio vantaggio di una maggiore linearità, la seconda,
pubblicata nel profluvio di strenne antologiche prenatalizie, racconta un
periodo sicuramente più complicato sul versante della sperimentazione musicale,
che parte dal controverso Zooropa per chiudere in cerchio con
ritorno a sonorità assodate dell’ultimo All that can’t you leave
behind. Se ogni gruppo ha un punto di massima vena creativa dopo il
quale può tentare soltanto di restare all’apice, gli U2 hanno probabilmente toccato quel
vertice tra The Joshua Tree e Rattle and hum: per
certi versi durante gli anni Novanta la band di Dublino è stata
costretta, giocoforza dall’incredibile popolarità raggiunta alla fine degli
anni Ottanta, a ricercare nuovi traguardi, ad andare oltre, non sempre con
risultati felici, come nel caso della sterzata elettronica di Pop.
Nonostante ciò nel decennio antologizzato nel disco gli U2 hanno
anche creato una manciata di gemme musicali destinate a durare, molto spesso
ballate marcate da tramature chitarriste semplici ma di grande impatto. The
best of 1990-2000 le ripropone tutte, nessuna esclusa: One,
tanto per cominciare, forse la ballata più intensa in oltre vent’anni di
carriera, e Stay, semplicemente meravigliosa nella sua insostenibile
malinconia, Staring at the sun, Beatiful day, l’idillica Stuck
in a moment you can't get out of, perfino i due ottimi inediti The hands
that built America e la notevole Electrical storm, proposta nel remix
di William Orbit. All’appello non mancano neppure i brani rock più
movimentati: l’apripista Even better than the real thing, l’acida Gone,
Until the end of the world, la scatenata dance di Discotheque,
le sonorità dark di Hold me, thrill me, kiss me, kill me. Come
neanche le cose più strane, tipo l’irresistibile Numb o Miss Sarajevo,
dall’esperienza con i Passengers. In totale sedici brani imperdibili – e come
potrebbe essere altrimenti in una raccolta degli U2? – che faranno la felicità
di neofiti e fans di vecchia data.
U2, The best of 1990-2000 [Island 2002]
Voto
8