Tuesday Night Music Club
Sheryl Crow
The globe sessions
C'mon C'mon
E’ forse troppo attendersi, da chi ha le
carte in regola per farlo, una rivoluzione del genere rock? Stando a C’mon
C’mon, quarto album di studio della sempreverde Sheryl Crow, probabilmente le cose stanno
proprio in questi termini, ma sarebbe ingeneroso nei confronti di questa
splendida quarantenne di Memphis non inquadrare il suo ultimo disco nella
giusta prospettiva. Soprattutto in ragione della sua lunga gavetta da eterna
corista dei grandi dello showbiz (George Harrison, Joe Cocker, Stevie
Wonder, Rod Stewart e Michael Jackson, per citare qualche nome) fino al
fulminante debutto (e l’aggettivo è corretto) nel 1993 con Tuesday Night
Music Club. Nei suoi primi tre album Sheryl ha dato prova
di grande talento in fase compositiva, ha sfoggiato uno stile vocale
all’occorrenza seducente e vellutato, o duro e aggressivo, dimostrando sempre
un’ottima padronanza del palcoscenico (culminato nell’ottimo Live in
Central Park). Per cui, se con C’mon C’mon Sheryl Crow ha voluto creare
una sorta di antologia inedita del suo repertorio, chiamando a raccolta anche
qualche guest amica, lasciamo perdere la classica critica contro le
bieche logiche commerciali e godiamoci la verve ed i buoni spunti che il
disco offre: in fondo il gentile pubblico deve almeno evitare giudizi
preventivi verso una
cantautrice capace di sfidare una catena di distribuzione come la Wal-Mart
denunciando in un brano il diffondersi delle armi tra i bambini. Comunque,
passando ad illustrare il disco lungo la tracklist, è d’obbligo
segnalare il trittico d’apertura, in perfetta linea con la solarità che emerge
dalla copertina: il ruspante pop-rock di Steve McQueen è seguito
a ruota dal raggiante singolo Soak up the sun (e con un titolo così non
potrebbe essere altrimenti), ideale per le onde FM, e quindi dai ruvidi riff
di chitarra di You’re an original, in duetto con la guest-de-luxe
Lenny Kravitz.
Poi, con Safe and sound, arriva anche la prima ballata in scaletta, dal
suono vagamente liquido, ideale preludio all’ottimistico country della titletrack
ed ai densi sentimenti di sapore West Coast di It’s so easy, in coppia
con Don Henley,
ottimo esempio di collaborazionismo musicale – oltre alle apparizioni del leader
degli Eagles e di Kravitz in C’mon C’mon figurano anche le
voci di Liz Phair, Stevie Nicks, Emmylou Harris e Gwyneth Paltrow – nonché
una delle migliori canzoni di tutto il disco. Subito dopo la malinconica
ballata Over you, arriva anche il rock più graffiante della tracklist,
ovvero Lucky Kid, dotato di sprazzi di elettronica e di un contagioso riff
centrale: transeamus sulle successive (e non memorabili) Diamond road e It’s only love, per arrivare di slancio alla dinamica
chiusa dell’album, che alterna in successione le emozioni country di Abilene, la contagiosa Hole in my pocket, la
splendida essenzialità di Weather Channel (altra perla dell’album) ed
infine le atmosfere rarefatte che colorano Missing, l’intensa ballata
finale. Non è un capolavoro ma un album che
dimostra che la vena creativa di Sheryl Crow ha
ancora numerose cartucce in serbo, in attesa di un’altra Run Baby Run...
Sheryl Crow, C'mon C'mon [A&M 2002]
Voto
7½