Tuesday Night Music Club
Sheryl Crow
The globe sessions
C'mon C'mon
Il suo nome è Sheryl Crow e quelli che sarebbero
divenuti i suoi molti estimatori hanno cominciato a conoscerla con il videoclip
di All
I wanna do, singolo marcato da un contagioso refrain di sapore vagamente
hawaiiano, un brano apparentemente spensierato ma dotato di un testo intrigante
ed affatto scontato, al di là della cortina fumogena del ritmo. Questa canzone,
comunque, a prescindere dalla sua qualità e dalla sua destinazione (doveva
essere usata come B-side e restar e esclusa dall’album d’esordio), ha finito
per segnare lo spartiacque tra quella che era stata una sfortunata
corista nata nel 1962 nei pressi di Memphis e la migliore esponente
femminile del rock americano contemporaneo, cantautrice versatile e di
talento, musicista fin dalla prima infanzia. Sheryl negli anni Ottanta comincia
a lavorare per molti grandi dello showbiz, ma solo Don Henley la
incoraggia a scrivere, procurandole infine un contratto con un’etichetta
discografica: la rockeuse registra così il suo primo album, rifiutandosi
poi di pubblicarlo per pudore commerciale. Per Sheryl Crow seguirà
un oscuro anno di silenzio, illuminato soltanto dalle estemporanee jam
sessions con un gruppo di amici il giovedì sera. Da questa esperienza
nascono spontaneamente le undici tracce di Tuesday Night Music Club<, trainato verso tre Grammies e
vendite milionarie dal successo dell’ennesimo, sopracitato singolo. A rendere
Sheryl una rockstar definitivamente è poi l’incredibile consenso di
pubblico per la splendida apripista Run Baby Run, utilizzata in un noto spot televisivo,
probabilmente il miglior brano di tutto l’album. notevole disco d’esordio della
cantautrice americana assembla
comunque un buon numero di memorabilia: dall’intrigante Leaving Las
Vegas (che entrò nella colonna sonora di Kalifornia) alla conclusiva ballata I shall
believe, eterea ai confini del religioso, dal sound West Coast di Strong Enough alle schegge elettroniche diThe Na-Na Song, dal rock teso di Solidify alle screziature jazzistiche di We do what we
can. Il resto sono un pugno di ballate sospese tra inquietudini esistenziali
e relazionali (Can’t cry anymore, No one said it would be easy e What I can do for you). Un disco che profuma di
vissuto, un esordio sorprendente, una favola divenuta magicamente realtà,
l’eccezione che conferma la regola nel duro mondo del music business...
Sheryl Crow, Tuesday Night Music Club [A&M 1993]
Voto
8