Lorenzo 1999. Capo Horn
Il mio nome è mai più
Il grande boh
Lorenzo Live
Cancella il debito!
Il quinto mondo
Safari
Ora
Ho cominciato a fare il giornalista più
o meno coscientemente circa sei anni fa e da allora mi sono occupato di
preferenza di ciò che più mi piace: i libri, i dischi e i film, non
necessariamente nell’ordine. Non ho mai abbandonato la terza persona in ogni
singolo articolo: non per vezzo, ma perché penso che un giornalista
fondamentalmente debba cercare di essere oggettivo anche quando, per redigere recensioni
(e quindi opinioni), l’ottica di rilettura è forzatamente personale. A volte
però accade un evento che invita a riflettere e fa ricordare schegge del
proprio passato. In questo caso la scarna cronaca di un evento, l’imparzialità
oggettiva, finisce per mischiarsi e fondersi in una cosa sola con il pezzo da
scrivere. E bisogna quasi per forza chiamare in causa se stessi, i propri
ricordi. Non c’è altra via.
A me è successo per la prima volta dopo
la seconda serata di Sanremo
2000, peraltro allegramente snobbata fino a tarda ora, quando un furtivo zapping mi ha portato sul palco
dell’Ariston per un rap arrabbiato di
Jovanotti in compagnia di Carliños Brown, uno che è uscito a suon di note dalle
favelas, dove la fame è una dura
realtà. Lorenzo Cherubini da Cortona in arte Jovanotti giocava con l’hip hop
e diceva una cosa tremendamente seria: cancella il debito, il debito del terzo
mondo, che il debito ce l’ha anche per colpa di una politica colonialistica che
affonda le sue radici nella storia e nelle colpe dei cosiddetti paesi
civilizzati.
Aveva ragione da vendere Lorenzo
Cherubini in arte Jovanotti. Non doveva essere granché prevista la sua performance all’Ariston. E dato che
viviamo in un paese ‘particolare’ e che Sanremo - questo lo sanno anche quelli che non
lo seguono - è
solitamente, sopra ogni cosa, un vespaio di polemiche, il suo rap ha fatto centro. Prima quelli che al
Governo non sono hanno protestato contro la scelta dell’interlocutore. Due
giorni dopo il premier D’Alema ha ricevuto Jovanotti insieme a Bono Vox degli
U2 che, come il rapper italiano, la
pensa allo stesso modo in materia di azzeramento del
debito del terzo mondo. Chi più, chi meno, tutti hanno compreso la
richiesta di Jovanotti: meraviglia delle meraviglie l’ha compresa anche
l’Istituzione, quella con la I maiuscola, indipendentemente da chiunque stia lì
a governare. E’ una cosa grandiosa a prescindere, che fa luce sul potere
dell’evento mediatico, in ogni sua forma. Sulla riflessione indotta da un uomo
di spettacolo in grado di pensare ad un uomo politico che ne prende spunto per
pensare anche lui alla stessa cosa - anche se la cosa era già in movimento, non importa -. La
cancellazione del debito ai paesi del Terzo Mondo è un primo passo che potrebbe
avere conseguenze a livello planetario. Cambiare le cose, i destini di milioni
di persone. Una cosa che fa pensare. Che la musica faccia cambiare le cose è un
altro fatto che dà molto cui pensare.
E fa pensare il cambiamento di un uomo
di spettacolo ‘normale’ com’era Jovanotti
agli esordi, ovvero alla fine dei controversi anni Ottanta: uno che diceva
“Gimme Five” al mondo (me compreso). Ed è a questo punto che la prima persona
dell’umile giornalista farà la sua comparsa. Io ho conosciuto (come tanti)
Jovanotti proprio agli inizi, quando avevo sedici anni e una gran voglia di
divertirmi. All’occorrenza anche di pensare, sempre nel caso mi andasse, in
fondo avevo sedici anni. Ero all’Aquafan di Riccione, mentre Lorenzo registrava
una puntata di DJ Television con un enorme gelato che si squagliava sotto il
sole, e la ripresa non era mai buona e lui (l’ice cream), imperterrito, diventava sempre più informe. Una scena
vagamente surreale da ordinaria TV commerciale quotidiana. Ebbi l’autografo da Lorenzo
(che ancora non si faceva chiamare col suo nome) e lo salutai col suo inno,
solo per scoprire poco dopo che così, in quei termini, aveva poco da dire al
mondo: così, in quel preciso istante, avevo intuito che tra qualche tempo mi
sarei dimenticato di lui e dei suoi inni estemporanei. Deve essersene accorto
anche lui. Deve essere cambiato nel profondo, come chi accetta di vivere. Ecco
che quei cambiamenti sempre più decisi in Lorenzo
1992, poi in Lorenzo 1994, nella
bella raccolta del 1995, in Lorenzo 1997.
L’albero e infine nel recente Lorenzo 1999. Capo Horn,
sono entrati tutti nella giusta prospettiva, compreso il famigerato «io credo /
che in questo mondo / esista solo una grande chiesa / che parte da Che Guevara
/ e arriva fino a Madre Teresa». Tutto insieme e tutto shakerato: e perché no?
Chi ha detto che non debba essere così per qualcuno? Un gran bel mix primigenio
e variegato all’inverosimile.
E’ un ragazzo cresciuto, Jovanotti,
divenuto uomo e di recente pure padre, ma sempre con l’aggiunta del bagaglio naïf di ogni
ragazzo: perché solo i giovani possono osare cambiare il mondo. O almeno
provarci. A volte semplicemente con un rap.
Ogni suo disco
ha presentato fin dal titolo una data e la riscoperta del suo vero nome, quasi
un diario musicale di morettiana memoria, in costante progresso. Perfino Il grande Boh!, il suo
esordio in cabina di scrittura, era strutturato per accumulazione di schegge di
ricordi, esperienze, frammenti di vita vissuta. Forse perché Jovanotti
vive e cresce col passare degli anni. Tutto molto semplice: prima vive, poi
riflette e infine scrive, compone, canta. Ed è bello scoprire che i miti
amitici della propria adolescenza sono diventati adulti con noi: miti dinamici,
adulti eternamente giovani, di quelli in grado di cambiare le cose, o di
provarci e stare a vedere. Anche con mosse che possono scuotere l’opinione
pubblica. Anche a costo di mettersi in gioco. Di rischiare non solo con collaborazioni
contro drammi bellici come Il mio nome è mai più,
perfino di rischiare in prima persona. Tutto per una nobile causa. Perché per
cambiare il mondo a volte basta avere coraggio. Il coraggio di chiederlo.
Voto
8