Sirena - Recensione
Sirena - Presentazione
Cousteau
Cousteau in tour 2001
Ecco
a voi i Cousteau, atto secondo. Dopo il sorprendente successo riscosso dall’album d’esordio in
Italia ed in Spagna il gruppo britannico,
in patria ancora band di culto (latrice di un genere di nicchia), è
tornato in studio per Sirena (equivalente dell’inglese mermaid
in italiano ed in spagnolo), un disco che
ripresenta itinerari sonori già accennati al debutto ma non percorsi fino in
fondo. Scorrendo le prime due tracce della tracklist verrebbe la
tentazione (ingenerosa) di interpretarle in prospettiva autoreferenziale: ma
l’irresistibile refrain d’organo che apre Nothing so bad o la
svagata malinconia di (Dawn these) Hungry times danno invece la
piacevole sensazione di ritrovare un vecchio amico che si è momentaneamente
perso di vista. La premiata ricetta del gruppo
inglese è la stessa dell’esordio: il tastierista Davey Ray Moor compone le
musiche e scrive i testi (oltre a suonare), mentre il solido vocalist
Liam McKahey provvede ad interpretarle con l’efficacia cui ci ha abituato, con
quel suo stile canoro che ricorda non poco il miglior Bowie in veste di crooner
confidenziale. La musica dei Cousteau continua ad arrivare da un passato
non troppo remoto, miscelando con perizia artigianale sprazzi di Tom Waits, schegge
di Burt Bacharach, molto swing anni Cinquanta, qualche ombrosità
alla Nick Cave, alcune armonie stile Pink Floyd, baleni di jazz e,
ovviamente, anche un pizzico del Bowie balladeer.
La qualità dei riferimenti del cocktail musicale resta all’altezza della
situazione e del reale svolgimento dei brani, sempre indispensabili, spesso
avvolgenti, marcati da un sound pieno, perché i Cousteau
fondamentalmente sono un affiatato gruppo di virtuosisti dei rispettivi
strumenti e nelle loro performances, anche di studio, il feeling
musicale si sente e domina su tutto il resto. Per esemplificare il concetto
basti ascoltare la preziosa apertura di Talking to myself, che si
sviluppa in un contagioso e composito refrain chitarristico. A ruota Sirena
scala di marcia con l’atmosfera notturna della deliziosa Peculiarly you,
ballata a pronta presa emotiva, avvolgente, insostenibile. Nel suo interno
alternarsi di luci ed ombre il disco continua con la disillusione briosa di Salome,
quindi con la melodica passionalità di Please don’t cry e la viscerale No
medication, una ballata caraterizzata da una splendida esecuzione vocale di
McKahey, una fisarmonica che dipinge Parigi ed il piano pressante di Moor. La
svagata tromba che apre After the fall ci conduce dalle parti di Bacharach, poi i
Cousteau, sulle orme dell’oceanografo
francese che ha ispirato il loro nome, ci propongono gli abissi pianistici
di Last secret of the sea, davvero intensa, a tratti quasi liturgica.
Verso la sua conclusione Sirena mostra di avere ancora chicche
sonore in serbo: ecco l’intrigante Heavy weather, i suoni soffusi di She
bruise easy e la maestosa essenzialità di Have you seen her. Nel
complesso un’altra
ottima prova di questo gruppo di ‘palombari’ musicali, che convincono con
la robustezza di un sound agganciato saldamente alla tradizione ma in
grado di rielabolarla in infinite variazioni sul tema.
Cousteau, Sirena [Nun/Edel 2002]
Voto
7+