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  25/04/2024 - 03:21

 

  home>musica > rock_pop

Scanner - musica
 


David Bowie
Heathen
[ISO/Columbia 2002]

 




                     di Paolo Boschi


Hours...
Heathen


I momenti di stanca capitano a tutti, anche ai migliori: non fa eccezione Sir David Bowie, che con l'ennesimo album della sua lunga e brillante carriera non ha scritto una pagina indimenticabile della medesima. E la cosa non è strettamente connessa all'età, nonostante le primavere del Duca Bianco ammontino ormai a cinquantacinque, dato che il recente Hours... al contrario costituiva una pietra miliare della discografia bowiana. Non così le dodici tracce di Heathen, decisamente squilibrate quanto ad ispirazione, confezionate come un prodotto di una freddezza siderale: probabile che Bowie, esattamente come accadeva in Hours..., continui a sentire il richiamo delle proprie origini musicali, quando amava presentarsi come l'alieno che cadde sulla Terra, purtroppo non siamo dalle parti di Ziggy Stardust, la meta dista ancora qualche parsec. Viatico ideale di Heathen è l'apripista Sunday, marcato da una rigidità quasi liturgica, tanto che all'arrivo della batteria a trenta secondi dalla fine si tira un respiro di sollievo. Per fortuna David Bowie decide di offrirci a parziale compenso un po' di sano rock con Cactus, una cover dei Pixies ottimamente interpretata. E per fortuna il Duca Bianco continua proponendoci a seguire una ballata della sue, la splendida Slip away, malinconica e struggente, classica tanto da sembrare un pezzo d'annata. A ruota arriva Slow burn, il primo singolo estratto dall'album, una bella rock ballad che sembra estrapolata di sana pianta dal repertorio del Bowie anni Ottanta, con la special guest Pete Townshend alla chitarra. Discreto ma non indimenticabile anche il rock sporco ed oscuro della successiva Afraid. Altra cover, altro gioiellino, e ben scelto, dato che I've been waiting for you non è esattamente il brano più noto del repertorio di Neil Young: la chitarra di Dave Grohl dei Foo Fighters nobilita l'esecuzione di Bowie. Non male neanche I would be your slave, marcata da un'atmosfera pregnante e suggestiva. Lasciamo perdere invece I took a trip on a Gemini spaceship, cover-tributo pagata da Bowie ad un texano che alla fine dei Sessanta si faceva chiamare The Legendary Stardust Cowboy, non entrato nella leggenda se non attraverso Ziggy Stardust: Bowie si diverte pure cantando sempre "spacecraft" nel brano invece dello "spaceship" del titolo. E poi arriva l'ineffabile e celestiale ouverture di 5.15 The angels have gone, che però non si sviluppa in un brano all'altezza. La coda di Heathen però sembra concepita al fine di rianimare l'ascoltatore non troppo convinto: Everyone says 'hi' e A better future sono due canzoni di sapore pop che esalano leggerezza ed armonia. La chiusa è affidata invece alla title track, densa, intensa, quasi granitica. Ricapitolando: indubbiamente Heathen lascia intravedere schizzi di creatività a corrente alternata ed una discreta verve vocale, ma risulta nel complesso poco originale, quasi inevitabilmente stanco e, purtroppo, incapace di lasciare troppe tracce di sé. Qualcosa, certamente. Ma qualcosa è poco se il vostro nome anagrafico è David Robert Jones, in arte David Bowie.

David Bowie, Heathen [ISO/Columbia 2002]

Voto 6½ 

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