E'
l'indiscusso maestro degli outsiders.
Cantautore, musicista di culto, occasionale attore e sceneggiatore, Tom Waits č una figura di perdente
quasi mitico, con cinquant'anni mal portati sulle spalle, una voce di notevole
ruvidezza, malinconia, profonditŕ. Da sempre l’artista americano vanta vendite
limitate, ma anche senza nessun disco in classifica č (giustamente) considerato
uno dei maggiori autori degli States. Dopo cinque anni di silenzio, Waits torna
sulla scena a modo suo, con un disco dal titolo stravagante, Mule variations, ed un nuovo
contratto con l'etichetta indipendente Epitaph. Il nuovo album si presenta
davvero molto ricco dal punto di vista musicale: in sedici brani Tom Waits dŕ
una complessiva rilettura dei generi musicali da sempre a lui cari, con il jazz e (soprattutto) il blues decisamente in primo piano. Big in Japan impronta subito il disco
con una struttura a vortice discordante tra la voce al catrame di Waits ed una
batteria quasi ipnotica. Segue a ruota il blues
sporco della ruvida Lowside of the road,
una canzone dalla valenza quasi programmatica nella musica di Waits, un blues molto old style, come in Chocolate
Jesus (con tanto di galline di sottofondo). Ci sono anche un pugno di
quelle sue ballate insostenibili, cantate con la sua voce impastata da troppo alcool
e sigarette, ma capace di irresistibili spunti di dolcezza - alludiamo
rispettivamente ad Hold on, House where nobody lives, Picture in the frame, Pony e la splendida Georgia Lee -. Le divagazioni del
'mulo' blueszy continuano poi in Get Behind the mule, in Cold water, in Eyeball kid - quasi un disco nel disco per le assonanze ritmiche
che contraddistinguono e legano questi brani -. Un album di livello assoluto.
Tom Waits, Mule variations [Epitaph 1999]
Voto
8˝
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