Sing when you're winning
Swing when you're winning
Escapology
Il
(favoloso) destino del buon Robbie
Williams è sorprendere, non a caso Escapology allude fin dal
titolo all’arte della fuga impossibile, che equivale a sviare, battere nuovi
percorsi, osare nuove sfide. Un aspetto sicuramente positivo dello strapagato golden
boy dell’industria discografica, che fatica a radicare il suo successo
anche in America (quanto equivale a sfondare per davvero a livello mondiale) ma
che è capace di interpretare un
album di covers swing da scaltrito crooner. Oltre che
affascinante infatti Robbie è in possesso di un evidente carisma da simpatico
bastardo, di una bella voce e di un’indiscutibile vena interpretativa. Robbie,
in altre parole, era predestinato a diventare una star ed è riuscito a
trasformare l’etichetta di trasfuga dei Take That (all’apice del successo) in
un biglietto da visita vincente (che poi, mutatis mutandis, ha
funzionato pure per Geri Halliwell): etichetta peraltro che continua a
condizionare in positivo i suoi estimatori, ciclicamente stupiti dell’esistenza
paradossale di un ex Take That di talento. Ma
dopo Life thru a lens, I've been expecting you, Sing when you’re winning,
Swing when you’re winning e questo Escapology non
c’è che da dichiararsi sicuri del talento di Mr. Williams. L’irridente cantante britannico
ci conquista anche stavolta grazie ad una tracklist di quattordici
canzoni complessive scritte, al solito, a quattro mani con Guy Chambers (forse
per l’ultima volta, ma chi può dirlo?). Non che tutti i brani si rivelino
all’altezza ed indispensabili (sarebbe chiedere troppo), certo è che nel
complesso rivelano personalità, voglia di sperimentare strade diverse e,
soprattutto, lasciano la sensazione che l’artista si sia divertito non poco a
realizzarli. Se dovessimo indicare un nume di riferimeno per l’operazione,
verrebbe da pensare in modo naturale al Paul McCartney solista
e talvolta a Damon Albarn. L’apripista How peculiar (brano molto
intrigante) ricorda non a caso lo stile canoro del leader dei Blur. A ruota segue Feel,
il singolo di lancio di Escapology, una ballata dal contagioso refrain
pianistico che entra in circolo fin dal primo ascolto. La successiva traccia è
una deliziosa quisquilia come Something beautiful, un discreto ibrido di
pop e rhythm’n’blues. Dopo il sound West Coast di Monsoon
(che scorre via senza lasciare traccia alcuna), arriva anche Sexed up,
con un attacco in punta di piedi ed un efficace tema pianistico che ci
accompagna dolcemente fino alla fine. Parte in tono minore anche la successiva Love
somebody, che poi va risolvendosi in una rock ballad che ricorda
mille cose analoghe di McCartney. Il baricentro di Escapology è
occupato dall’indiscussa gemma dell’album, ovvero la morbida ed accattivante Revolution,
in duetto con Rose Stone, un brano dal retrogusto R’n’B veramente
contagioso. Ad un dipresso segue Handsome man, un brano da leggere anche
in chiave autobiografica (la star che si auto-confessa sopravvalutata),
contrappuntato da un intrigante refrain di basso e da un attacco in cui Robbie ricorda il parlato
di Lou Reed. Calma
piatta per le due tracce seguenti (la ballata Come undone e la dilagante
Me and my monkey) fino all’hard rock di Song 3, ovvio
riferimento alla fulminante Song 2 dei Blur, anche se il riferimento
(musicale) non è evidente. Si torna a livelli ottimali con la briosa Hot
fudge, aperta da una contagiosa intro di piano, poi si ridiscende
nelle accelerazioni hard rock di Cursed (poca cosa) per chiudere
il discorso con la prima canzone scritta interamente da Robbie Williams, ovvero
Nan’s song, una ballata essenziale e struggente dal retrogusto folk,
dotata peraltro di due ghost tracks a sorpresa (notevole ed idilliaca
quella che chiude definitivamente l’album, cantata in modo con confidenziale
efficacia). Nel complesso un buon prodotto
d’intrattenimento, ricco di buoni riferimenti, pieno di verve, a
tratti anche originale. Difficile chiedere di più ad una star, almeno
con i tempi che corrono: he’s only over-rated, but we like him...
Robbie Williams, Escapology [Emi 2002]
Voto
7