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Yellow Submarine Songtrack
The Beatles Anthology
Beatles conro Rolling Stones
Paul McCartney. Many years from now
Flaming Pie
Run Devil Run
Driving Rain
Con
l’uscita di Let it be... naked, il 14 novembre 2003 ha
finito per diventare una data storica per i cultori dei Beatles e per ogni melomane
generico, forse più dell’8 maggio 1970, quando fu pubblicato Let it be,
l’ultimo Lp ufficiale dei Fab
Four, registrato un anno prima e riarrangiato dal noto produttore Phil
Spector, quando il quartetto di Liverpool
aveva già ufficializzato il proprio scioglimento. Per ogni beatlesiano che si
rispetti il vero canto del cigno del proprio gruppo preferito era stata l’epico
medley di The end che chiudeva Abbey Road, uscito
nel 1969 ma di fatto registrato dopo le sessions in studio di Let
it be. In realtà il progetto originario dell’ultimo disco ufficiale del
gruppo era nato con uno spirito completamente diverso, soprattutto su spinta di
Paul McCartney, l’ultimo dei Fab Four ad ammainare bandiera bianca davanti alle
tensioni che avrebbero finito per sgretolare la band dalle radici: il
disco si sarebbe probabilmente chiamato Get
back, avrebbe dovuto recuperare lo spirito dei Beatles degli esordi, preludere
al ritorno ai concerti abbandonati nel 1966. Le sedute in studio dell’album
destinato a diventare Let it be (o almeno i momenti più sereni)
finirono nell’omonimo documentario di Michael Lindsay-Hogg, premiato con
l’Oscar per la miglior colonna sonora. In realtà Let it be non
convinse mai del tutto i Beatles e soprattutto McCartney, che non
gradì affatto il riarrangiamento di Phil Spector – in particolare Macca si
arrabbiò per la massiccia orchestra che appensantì la nostalgica leggerezza di The
long and winding road –. Trentatre anni dopo e con due soli ‘scarafaggi’
superstiti, Let it be... naked cerca di riportare giustizia
filologica sull’album che sancì la fine di un gruppo e aprì le porte ad un mito
infinito: la sequenza dei brani è cambiata, tutte le canzoni sono state
‘ripulite’ degli orpelli sonori di Spector, le canzoni Dig it e Maggie
Mae sono state eliminate dalla scaletta, mentre è stata inclusa Don’t
let me down, una ballata rock blues di John Lennon già edita come
lato B di Get back, scelta come pimpante apripista dell’edizione 2003,
mentre Let it be, quasi invariata rispetto al 1970, è diventata la
chiusa ufficiale dell’ultimo disco dei Fab Four – un
atto dovuto, considerando che in questa splendida ballata infinita McCartney si
rivolgeva alla madre (morta quando lui era quattordicenne) per superare il
punto più drammatico della sua carriera artistica, ovvero la fine dei Beatles,
che Paul cercò di evitare in ogni modo –. In mezzo la tracklist di Let
it be... naked presenta nell’ordine il valzer di nonsenses di Dig
a pony, il blues discreto di George Harrison in For you blue,
una The long and winding road più lirica ed essenziale, la ritmata
ballata di sapore folk di Two of us (in pratica identica al
1970), una rilettura filologicamente corretta di I’ve got a feeling, un
energico rock che fondeva due mezze canzoni di Paul e John come nella
storica A day in the life, quindi One of 909, un divertissement
giovanile lennoniano di sapore skiffle, e, dopo la new entry Don’t
let me down, una versione assai più grintosa di I me mine di George
Harrison, ripulita dalle troppe aggiunte di Spector, esattamente come la
successiva Across the universe, uno degli indiscussi capolavori dei Beatles. Let
it be... naked offre anche il bonus disc di 21 minuti Fly
on the wall con varie mirabilia e conversazioni tratte dalle
sessioni di studio del quartetto durante il gennaio del 1969. Un’operazione
commercial-filologica studiata a tavolino per piantare il primo seme del gruppo
che ha marchiato indelebilmente il Novecento anche nella caotica babele
musicale che ha aperto il terzo millennio. Restano comunque variazioni dei Beatles:
difficile resistere...
The Beatles, Let it be... naked [Emi 2003]
Voto
8