Fabbrica Europa 2007, bilancio della XIV edizione
Charleroi Danses, Sinfonia Eroica
Socìetas Raffaello Sanzio, Hey Girl
Maria T, Alexander Balanescu String Quartet
Maria Donata d’Urso, Lapsus
Teatro Minimo, Amleto
Karine Saporta, Wild
Wild era stato
“venduto” al pubblico (e comprato da Fabbrica Europa per
60.000 euro) come “un lavoro poetico e spettacolare, che esalta la forza, la
finezza, la potenza espressiva delle figure in scena”. In una piece di danza e cavalli mancano proprio le coreografie, sterili, povere, e spicca
l’assenza delle abilità dei destrieri. Nella cornice del giardino del Teatro della Limonaia di Sesto
Fiorentino in un’arena circense sabbia e pali conficcati nel terreno come banderillas nella schiena del toro madido del suo sangue. Da
riproporre per la Fabbrica
ogni anno un salto qui da Milopulos e soci per la bellezza del luogo con la
fontana che culla ed il verde intorno che fa del cortile di Villa Guicciardini una parentesi nascosta, un chiostro aperto
ritagliato. Molte famiglie nelle due platee attirate dalla
commistione tra animale e danza. Il risultato sono
facce deluse, volti sconcertati, bocche aperte ed incredule. Alla
fine applausi mosci e flosci, qualche fischio. Certo, non doveva essere
il circo. Si ha però la sensazione che manchino pezzi,
che alcuni ingranaggi siano stati tralasciati, che non siano appieno scattati
gli automatismi, il nesso che riassorbe in un unico cerchio le coreografie,
sempre identiche, del danzatore africano dal fisico mostruoso, le evoluzioni
dei poveri cavalli. Nel primo “momento” uno addirittura fugge,
il cd salta. Intanto la gente protesta nel brusio, molti si alzano e se
ne vanno. Sbadigli, risa, occhi sbarrati per l’inconsistenza nel ring circolare.
Il primo cavallo impostato sul dressage, il secondo per una montatura alla amazzone (come le signore sulla Vespa anni ’60), il
terzo la corsa cosacca all’arrembaggio, all’arrivano i nostri. Nota positiva la posizione imbizzarrita dell’animale con la
cavallerizza distesa all’indietro con i capelli che si confondono nel crine e
nella lunga coda. Doveva essere l’esplicazione del continuo dialogo, a volte
anche l’incomunicabilità, tra l’animale, fuori e dentro di noi, e l’essere
umano. Si parte piano per poi aumentare il passo. Dalla regia alzano troppo l’audio,
fastidioso ed irritante con cocci rotti e conchiglie e urla di scimmia o
nitriti misti ad elettronica, e i cavalli sono
visibilmente nervosi mentre corrono all’esterno del cerchio come panni di una
centrifuga in una lavatrice. L’uomo fugge dalla propria animalità, poi viene rincorso. Sembra di assistere ad una vecchia
pubblicità della Badedas. Eva non è una ballerina, e
si vede, il cavallo viene fatto morire come il cigno
nell’omonimo Lago. Dopo l’astice
di Rodrigo Garcia, il cane delle Ariette, il maialino in “Tito”: se
soltanto gli animali potessero parlare.
Foto Massimo Agus
Voto
5 -