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  28/04/2024 - 22:00

 

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Teatro Minimo
Amleto
da William Shakespeare, di e con Michele Sinfisi, collaborazione alla scrittura scenica di Michele Santeramo, costume di Luigi Spezzatatene, cura del progetto Antonella Papeo
Dal 4 al 6 maggio 2007 alla Stazione Leopolda di Firenze per Fabbrica Europa

 




                     di Tommaso Chimenti


Shakespeare sarebbe stato soddisfatto. E orgoglioso di tanta, semplice, inventiva. Originale nella sua “povertà”, sintetico ed elastico, flessibile come le sedie pieghevoli aperte nel panorama dello spazio dell’Alcatraz. Il Teatro Minimo lo è di nome e di fatto e il loro “Amleto” (dal 4 al 6 maggio 2007 alla Stazione Leopolda di Firenze), in singolo, e singolare atipica riduzione, riassume la solitudine del Principe di Danimarca nel metateatro all’ennesima potenza. Da poco è uscito in libreria anche un volume edito dai tipi della Torredinebbia edizioni (270 pagine, 12 euro) a loro dedicato dal titolo omonimo per la felice e fruttuosa collaborazione tra l’autore Michele Santeramo e l’attore Michele Sinisi. Sei sedie da regista calcano il piccolo palco nell’hangar di Fabbrica Europa, uno stereo da rapper anni ’80. Un attore solo al comando. Un attore lasciato solo, forse soltanto pazzo nella sua continua ed insistita voglia di comunicare e confrontarsi con altri colleghi virtuali ed invisibili che decidono di non mettersi in gioco. Sinisi, in costume da bardo, sembra un regista che deve provare una commedia, cerca, trova, sperimenta, sempre attonito per la scarsa professionalità degli altri compagni che più che muti sono invece sordi. E’ tutto un gioco del corpo, un mimo impercettibile, delicato quando ricco di segnali, che delinea le differenze tra i vari personaggi: Polonio parla accelerato, il nuovo Re Claudio, lo zio perfido e incestuoso, è un cieco con una mano inferma quasi colta da stimmate, il fantasma del padre è una bottiglietta di vetro che soffia e sibila piena di fiori da cimitero. Ma il gioco è svelato da un patto esplicito tra pubblico e attore. Spettatore e monologhista, non personaggio. Non c’è inganno ma voglia di concedersi e, finalmente, credere. E’ teatro. E’ il teatro. L’attore-Amleto-giullare fool, “cioè io” ripete sovente, impersona gli altri protagonisti del dramma di Elsinor, mostrando l’inganno. L’interprete è, per copione, divenuto il Principe matto del celebre “Essere o non essere”, quest’ultimo concede corpo e voce alle altre figure in una ricaduta a cascata a tre livelli. Il campo dei fiori finale (durata 45 minuti) è una distesa bianca da sepolcro militare americano, i deceduti rinchiusi e schiacciati nelle loro sedie-poltrone del potere, ormai senza via di fuga.

Voto 7 

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