Presentazione Pinocchi, 2017
Recensione Pinocchi, 2017
Non è facile. Anzi. Ma, una versione innovativa e azzeccata di un’opera famosa
può aprire nuovi mondi, nuove prospettive e soprattutto nuove, intriganti, sintonie.
“Di Pinocchi ce ne sono tanti”, come dice Geppetto, ma quelli che in questi
anni abbiamo visto riproposti in varie versioni al cinema e in teatro si sono rivelati spesso noiosi, pomposi e datati. Non è naturalmente così per quello cantato da Edoardo Bennato
nella saga senza tempo Burattino senza fili, ma non lo è di sicuro anche Pinocchi, il recente spettacolo che vede azzeccati protagonisti in scena Giusi Merli, Mila Vanzini e Michele Demaria. La pièce, che ha debuttato in prima assoluta per Firenze al Lavoratorio, si è infatti rivelata particolarmente sorprendente e fuori dalla
retorica. Quello che abbiamo visto sul palco del nuovo e funzionale spazio culturale dedicato alle arti performative di Via Lanza dal 20 al 22 ottobre 2017 è un ottimo mix fra tragico e comico, una riflessione originale e ben realizzata su una fiaba talmente famosa da sconsigliare a priori una sua eventuale ulteriore rivisitazione. E, invece, l’intelligente e immaginifica regia di Andrea Macaluso e la bravura e il ritmo degli interpreti ha fatto la differenza. Gli spettatori si sono sintonizzati sulle frequenze di un Pinocchio gotico, futurista,
con qualche spruzzata di thriller, persino di horror, eppure asciutto, avvincente. Paradossalmente (ma se ci si pensa bene, fino a un certo punto) aver riscoperto e ripreso le atmosfere, ma anche la narrazione della prima
stesura (più breve e più dark di quella pubblicata successivamente) che il fiorentino Carlo Collodi
pubblicò a partire dal luglio 1881 sul Giornale per i Bambini, ha dato allo spettacolo una marcia in più. Macaluso, che anche in precedenti spettacoli (come il sorprendente kolossal da camera Satyricon una visione contemporanea) si era rivelato un ottimo aiuto regista, è cresciuto ulteriormente. E in questo suo “Pinocchi” è formidabile nel riuscire a creare un virtuoso dialogo fra stupore d’antan e clamore quasi manga di un Pinocchio originario eppure fuori dagli schemi, che si rivela per frammenti,
paure, sguardi, suoni, musiche, danze, urla.
Come nel “Caimano” di Nanni Moretti, I tre attori si scambiano spesso il
testimone nel ruolo del protagonista. E irrompono nell’avventura dando
una faccia, una voce e un modo di muoversi (e vivere) diverso, in un vorticoso
gioco di specchi, al burattino più famoso del mondo. Ma, anche, quando serve, agli altri personaggi della storia.
Fari puntati su un pezzo di legno grezzo eppure modernissimo, grazie alla sorprendente verve
dinamicità di una Giusi Merli che, dopo
l’Oscar con “La Grande bellezza”, sembra vivere una seconda giovinezza performativa (lo dimostra anche come protagonista del corto A casa mia, che è stato premiato al David di Donatello 2017) Brava e cineticamente perfetta nella parte anche la pinocchietta Mila Vanzini, Michele Demaria si rivela un Mangiafuoco ideale, mentre qualche volta quando fa Pinocchio
urla un po’ troppo. Ma è un peccato veniale: i Pinocchi si impossessano delle paure, dei misteri, dei sogni, delle aspirazioni e delle
avventure di ognuno di noi e ce le rendono talmente fiorite, che anche il finale a sorpresa profuma di nuovo, di fresco. Applausi, giusti e non retorici soprattutto da parte di un pubblico adulto che più dei bambini (anche se lo spettacolo viene presentato adatto a un pubblico dai 6 anni in su) è in grado di godere della contemporaneità dell’operazione.
Voto
8