Intercity Toronto, XIX edizione , 2006
Intercity 20, XX edizione , 2007
Bigger than Jesus, Rick Miller e Daniel Brooks, 2006
Tilt, Teatro Sotterraneo e la regia di Jillian Keiley, 2006
Alias Godot, Regia di David Ferry, 2006
W&T , Regia di Branko Brezovec, 2006
Si può parlare di religione anche
ridendoci sopra, o almeno senza ammazzarsi. Il muscolare Rick Miller e il regista Daniel Brooks sono riusciti
nell’intento. Il video alle spalle di Miller proietta
(la telecamera in alto è incastonata in un triangolo- occhio di Dio) le scritte
che in basso cambiano e la platea che guarda se stessa riflessa, il volto
deformato del protagonista fino alle scene finali in una diretta da reality emozionate del teatro nel
teatro, la realtà dentro la piece. Un gospel country che
sembra l’inizio di una pellicola hard. Slang stretto, come i jeans, camicia appena sbottonata, come l’uomo che non deve
chiedere mai, gambe arcuate da cow boy alla Brokeback
mountain, indice sicuro puntato sulla folla. Il Predicatore sa tanto di Tom Cruise in “Magnolia”. Se la prima
parte di “Bigger
than Jesus” è più
monocorde, piena di documenti e rimandi scientifici ed accademici (noiosa), piatta,
sembra di assistere ad una conferenza sulle incongruenze “Codice da Vinci”,
la seconda esprime e porta in primo piano la potenza, oltre che del contenuto,
comunque fazioso, della figura scenica di Miller. L’attore si carica ed implode,
prende vigore via via che il testo gli passa in bocca e si esalta
quando a parlare per lui è il suo corpo o gli stratagemmi- meccanismi
messi in atto da una regia accurata e semplice ma al tempo stesso illuminata e
curiosa. Tre le scene da segnalare: veramente emozionanti. La parte del “Volo
per Gerusalemme” è colorata come un camaleonte. Un aereo in caduta libera, con
Dio che non può niente, diviene l’esemplificazione dell’11
settembre con la scena dell’impatto al suolo mista a mille immagini che
scorrono ad altissima frequenza nello schermo come ultimo momento o attimo rem dei bulbi oculari, o della memoria visiva terrena, in
una striscia cartoonist sulla vita. Altro faro della piece è un presepe del tutto particolare. Un’ultima cena
dove la statuetta di Gesù, che si muove su una duna di sabbia da litorale di Fregene o viareggino caduto
dall’alto come rena di clessidra che indica lo scorrere ansioso e perenne del
Tempo, è accompagnata da soldatini, un pupazzo raffigurante Bush,
una contadinella, Luke e Obi Wan di Guerre Stellari che
guerreggiano con le spade laser ed un Giuda - Homer
Simpson irriverente e sacrosanto. Il tutto
assomiglia al presepe caustico e delirante di “Quattro Formaggi”, l’ennesimo coprotagonista dell’ennesimo romanzo di
Niccolò Ammanniti, “Come Dio comanda”. Una tavolata alla quale tutti
vorrebbero presenziare. Si apre il sipario. Un altare nel
suo mantello rosso e Gesù-Miller ci appare, si
trasfigura e trasforma con tanto di barba iconografica e capelli lunghi, mentre
le immagini del suo volto, Sindone, vengono proiettate
sulla sua schiena nel suo abito- stola da chierichetto. L’ultima scena da
madonnaro vede Miller che con la restante sabbia con
gesti sottili e decisi disegna il volto di Gesù in un quadro, prontamente
ripreso dalla telecamera, picassiano ma nitido. La Messa è finita, come
direbbe Nanni Moretti.
Voto
7½