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  25/04/2024 - 10:32

 

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Venezia 2002, il bilancio
59° Mostra Internazionale d'arte cinematografica
Un festival di alti e bassi
Prima di tutto contano i film e gli autori, e solo la ricerca in questo senso darà i frutti sperati in avvenire

 




                     di Matteo Merli


Presentazione di Venezia 2002
Venezia 2002: la premiazione
Il bilancio di Venezia 2002
Un viaggio chiamato amore
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11 Settembre 2001
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Johan Padan a la descoverta de le Americhe


Un festival di cinema si giudica prima di tutto dalla qualità dei film, e questa 59° Mostra Internazionale d'arte cinematografica ha messo in evidenza un concorso con opere eccellenti in numero minore rispetto a film di basso livello, che spesse volte cadevano nella mediocrità. Comunque il compito di un critico è segnalare quelle pellicole che risaltano per la loro messa in scena e capacità di generare cinema. Sicuramente Far From Heaven, terzo lavoro di Todd Haynes, che rappresenta quella fetta consistente di cinema indipendente americano capace di saper creare un idea di cinema originale, che in questo caso si modula sugli scenari Sirkiani di un melò tipicamente anni cinquanta che segue le vicende di una famiglia borghese alle prese con l'omosessualità di un padre represso, e dello sbocciare di un amore etnico tra la moglie e il giardiniere nero, in un atmosfera infuocata di colori bellissimi, che radicalizza il suo sguardo su temi scottanti come il razzismo, lasciando momenti di struggente emotività. Altra sorpresa la riservata L'Homme du train ultimo lavoro di Patrice Leconte, che dopo molti fallimenti, riesce con questa opera a colpire il cuore di molti spettatori, che vede protagonista un uomo che scende dal treno in un paese del sud. E' un signore dal passato oscuro che cerca di mascherare le sue vere intenzioni. Casualmente viene ospitato da un anziano professore, che instaurerà con la persona misteriosa un rapporto di stretta amicizia, che metterà in luce il desiderio di entrambi di cambiare vita, o perlomeno di sognare un nuovo percorso. Un noir-western impeccabile, che crea le suggestioni sui due protagonisti caratterizzati in maniera perfetta, che ha nel finale il suo risvolto di seducente bellezza. Una rinascita chiamata Leconte. Oasis del grande regista coreano Lee Chang-dong, ancora poco conosciuto in occidente, si calibra con i toni giusti nelle piaghe di un racconto che vede coinvolto Jong-du, appena uscito di galera, che si innamora della sorella paraplegica dell'uomo che lui ha ucciso in un incidente stradale. Un amore irrefrenabile, che sarà osteggiato da entrambe le famiglie, ma che si rappresenta come moto istintivo dell'animo che porterà i due verso il sogno di un futuro libero, dove vivere insieme lontani dalle diffidenze altrui. Un opera sensibile che senza cadere nel patetico, trasferisce emozioni vere senza banalizzare l'argomento, grazie ad una regia compiuta e agli attori, davvero stupefacenti. Non poteva mancare all'appello l'ultimo lavoro di Takeshi Kitano, Dolls, che sviluppa il suo racconto attraverso tre storie: Matsumoto e Sawako è una coppia in crisi, che vivono come vagabondi legati insieme. Hiro, vecchio boss della yakuza rimpiange un amore del passato. Haruna è una ex-rockstar sfigurata che incontra un suo fan appassionato. Il filo conduttore è il teatro delle marionette Bunkaru: manifestazione della scena, come impossibilità di amare tra uomo e donna. IL destino dei personaggi è legato alla perdita di se stessi, che solo un percorso di ricerca potrà rinsaldare i loro cuori. Un opera geometrica nei suoi piani visivi, che si manifesta nella complessità di una regia rigorosa, da scoprire a più livello. Ennesimo capolavoro drammatico di Kitano. Blood Work di Clint Eastwood ci appare come opera di ricerca, attuata e ritagliata sulla fisicità del mitico attore, dove interpreta Terry MCCaleb, un veterano dell'FBI colpito da un attacco cardiaco mentre è alle prese con un killer. Dopo due anni, il killer si rifarà vivo, ingaggiando con lui una lotta personale. Un film classico, che sembra respirare le atmosfera degli anni settanta per come segue i personaggi e la narrazione, mai sincopata, intesa a far emergere il tessuto emotivo dei protagonisti. Altro ritorno gradito è quello di Shinya Tsukamoto che con A snake of june ci porta all'interno di una coppia di borghesi che vivono nella insoddisfazione e nell'ossessione di una vita moderna che non lascia via di scampo. Un giorno sua moglie viene ricattata da qualcuno attraverso delle foto che la ritraggono mentre si masturba. Il ricattatore spinge la coppia verso i limiti del piacere sessuale, come fonte di libertà e voglia di vivere. Una pellicola fotografata in bianco e nero che si segnala come ennesimo grande film del maestro Tsukamoto, che ci spiega che solo attraverso un percorso di dolore si può arrivare alla conoscenza di se stessi. Uscirà mai in Italia? Ken Park della coppia Larry Clark e Ed Lachman che parte da una sceneggiatura di Harmony Korine ( autore di Gummo ) ci apre una finestra sul microcosmo americano, composto da genitori depravati o ossessivi, e da giovani disinibiti ma alla ricerca di un senso di vita. Questo film parte sul suicidio di Ken Park, per poi indagare le singole realtà dei suoi amici, visti in contesti violenti o degenerativi. Questo film di Larry Clark è l'ultimo tassello della sua ricerca sul mondo giovanile americano, che si presta a diventare opera cult e conclusiva per l'autore, capace di costruire una pellicola dal ritmo impeccabile senza cadere in situazioni provocatorie fine a se stesse, ma che comunicano il disagio dei personaggi. Liberatorio. Mentre Vendredi soir di Claire Denis si presenta come sguardo sui corpi di un uomo e di una donna che in una sera si incontrano casualmente e vivono intensamente una notte d'amore nella magica Parigi. Un opera magica, scritta sullo stile della nouvelle vague, intesa a scoprire i corpi e gli atti degli amanti, suggellando in sintesi il loro breve amore, incisivo e indelebile come un breve racconto emotivo. A conclusione di questo festival, le belle sorprese non sono mancate, anche se ci potevamo aspettare di più da un concorso che ha privilegiato opere convenzionali, mentre non si capisce perché il concorso controcorrente doveva dare maggiormente spazio a opere sperimentali o di autori marginale. A mio avviso ci vuole più coraggio e autonomia di giudizio, lontani da ogni condizionamento, per poter riportare a Venezia quel cinema che ha reso illustre il festival della laguna, perché prima di tutto contano i film e gli autori, e solo la ricerca in questo senso darà i frutti sperati in avvenire. Alla prossima mostra!

Voto 7 

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