Viva la Vida or Death All His Friends, 2008
A rush of blood to the head
Coldplay, A rush of blood to the head, EMI Parlophone, 2002
Coldplay, Parachutes, EMI Parlophone, 2000
Nessuno
poteva aspettarsi un esordio folgorante come Parachutes,
che si è rivelato un disco sorprendente in primo luogo per la sua impronta
musicale ben delineata, curiosamente matura a prescindere dalla giovanissima
età complessiva del quartetto londinese. La qualità di simile debutto ha fatto
sì che tutti si aspettassero un’opera seconda del livello che A rush of blood to the head,
per fortuna dei molti estimatori dei Coldplay,
ha felicemente mantenuto oltre ogni rosea aspettativa. Le undici tracce
dell’album sono una felice conferma di un sound ricco di riferimenti e
compiuto (paradossalmente) già fin dal suo primo sbocciare. I Coldplay si erano
ritrovati sotto l’attenzione di un vasto pubblico con un singolo davvero
azzeccato come Yellow, che racchiudeva in una sintetica quanto magica
alchimia la formula vincente di questo giovanissimo gruppo inglese: malinconia,
atmosfere rarefatte, una vena di lirico intimismo, qualcosa degli U2, sprazzi di Pink
Floyd (e dunque richiami anche ai Radiohead), un sound
a tratti essenziale, talora incredibilmente ‘pieno’, ma sempre di grande
presa, perché Chris Martin & Co. sono abituati a circoscrivere emozioni,
stati d’animo, idee, ovvero soggetti che, incanalati nell’impeccabile sinergia
tra musica e parole dei Coldplay, finiscono per arrivare a segno, con
semplicità ed efficacia. Il disco prende avvio con Politik in cui il
quartetto accende le polveri con una canzone che si alterna tra distensioni ed
improvvise accelerazioni. A ruota arriva una di quelle cose insostenibilmente
liriche di cui forse solo i Coldplay sono ancora capaci: una gemma come In
my place in cui, librandosi su un impianto organistico in crescendo,
l’eterea voce di Chris
Martin è capace di offrire emozioni a getto continuo. Nella traccia
successiva il quartetto cambia ancora registro, ma sempre in ambito balladeer,
con la notevole God put a smile upon your face, un brano che nella
struttura richiama non poco l’apripista. A rush of blood to the head
propone quindi la delicatissima The scientist, Clocks (d’atmosfera
vagamente anni Ottanta), Daylight (aperta da un aria di memoria indiana,
sviluppata in direzione avvolgente, quasi ipnotica), poi l’idillica e
semplicissima Green eyes. Dall’adamantina Warning sign i Coldplay riprendono a mirare molto,
molto in alto: dopo questa ballata segnata da una mirabile tramatura
chitarristica la coda dell’album propone in rapida successione l’ombrosa A
whisper, l’irresistibile accelerazione interna alla title track (che
ricorda esplicitamente i migliori Pink Floyd) e le delicate sfumature pianistiche
di Amsterdam, che poi si trasforma progressivamente in una ballata che Bono Vox e compagnia
avranno sicuramente apprezzato. Nel complesso un album di livello assoluto. Il
vero interrogativo è cosa sapranno fare ancora Chris Martin e soci: per adesso
stanno navigando in mare aperto senza terra in vista, ma sembrano sapere
esattamente dove andare e come arrivarci.
Coldplay, A rush of blood to the head [Emi 2002]
Voto
7/8