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  30/04/2024 - 06:11

 

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Margaret Doody
Aristotele detective
Palermo, Sellerio, 1999; pp 452

 




                     di Paolo Boschi


Aristotele Detective
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Spesso accade che il gioco letterario diventi una componente fondamentale per la riuscita di un buon romanzo: ed è il caso di Aristotele detective dell'autrice canadese Margaret Doody, scrittrice per diletto, di professione docente di inglese e letteratura comparata alla Vanderbilt University. Al centro del suo romanzo troviamo il mitico filosofo di Stagira nelle (teoricamente) per lui inedite vesti di investigatore: un'operazione non dissimile, mutatis mutandis, da quella applicata da Umberto Eco ne Il nome della rosa. Nel best seller del professore bolognese di semiotica il protagonista era infatti un frate predicatore, con tanto di novizio a seguito, che si ritrova ad indagare su un omicidio avvenuto fra le gelide mure di un'abbazia. Un mistero, un investigatore, un ambiente chiuso: gli ingredienti classici del giallo, colorato da Eco a modo suo, grazie anche ai dettagliati studi da lui svolti su quel particolare periodo storico. Nel romanzo della Doody accade più o meno la stessa cosa, e con qualche mese di anticipo rispetto al romanzo di Umberto Eco: infatti la scrittrice canadese dette alle stampe Aristotele detective nel 1978 - e in seguito pubblicò anche la seconda indagine dello Stagirita, ancora inedita in Italia - . Alla base del suo romanzo c'è una bella domanda: cosa accadrebbe applicando i dettami della logica aristotelica ad un caso di omicidio? La risposta della Doody è che probabilmente saremmo di fronte al primo prototipo di Sherlock Holmes della storia, o meglio di Nero Wolfe, dato che Aristotele è una mente ordinatrice di indizi raccolti dalla classica spalla, in questo caso un giovanotto ateniese di nome Stefanos, suo ex studente del Liceo, volenteroso, simpatico, ma non particolarmente sveglio per ordinare in proprio un'indagine che lo tocca direttamente. Perché accade che Stefanos sia uno dei primi testimoni dell'omicidio del facoltoso oligarca Boutades. E accade che l'accusato sia un suo cugino scavezzacollo momentaneamente in esilio per un errore giovanile. Sulla scena del delitto pare non siano stati ritrovati indizi significativi, almeno per gli occhi comuni. Non per quelli di Aristotele, chiamato in causa dal discepolo di un tempo, che dalla sedia di casa sua si fa raccontare particolari e impressioni "come se si trattasse di un problema di geometria", si fa un'idea sommaria, lancia sassi nello stagno del caso per vedere l'effetto delle onde e risalire ai colpevoli, suggerisce a Stefanos di travestirsi ed indagare in certi ambienti. E alla fine, non c'è da dubitarne, raccoglierà il quadro generale e, con il procedimento deduttivo reso celebre da Arthur Conan Doyle qualche secolo più tardi, arriverà a procurarsi le prove per smascherare il vero assassino. Notevole in tal senso il finale, sorprendente come richiesto dal genere: vediamo Stefanos - 'manovale' delle indagini per conto dell'ex maestro ed avvocato in causa per difendere il cugino accusato del delitto - pronunciare un'arringa di difesa alla Perry Mason, dimostrando ai giurati la (latente) dinamica dell'omicidio. Nel suo discorso tutti i fili della ragnatela del caso finiscono per convergere sul vero assassino: Stefanos ci arriva con "un'artificiosa mancanza di artificiosità", obbedendo ossequiosamente a tutte le regole della retorica (Aristotele docet). In Aristotele detective alla buona idea di base, è il caso di sottolinearlo, segue un magistrale svolgimento: l'ambientazione è puntuale e calata nel periodo in modo impeccabile (siamo nell'Atene del IV secolo a.C., è bene ricordarlo), la rappresentazione di Aristotele è credibile, la storia funziona e la suspense - immancabile in ogni giallo che si rispetti - regge sino all'ultima pagina.

Margaret Doody, Aristotele detective, Palermo, Sellerio, 1999; pp. 452

Voto 8 

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