Venezia Cinema 62: Quarto reportage di Scanner
Venezia Cinema 62: Terzo reportage di Scanner
Venezia Cinema 62: Secondo reportage di Scanner
Venezia Cinema 62: Primo reportage di Scanner
Mater Natura di Massimo Andrei
In questa 62° edizione della mostra internazionale d'arte
cinematografica di Venezia sembra di essere catapultati in limbo per soli
cinefili, segregati in zone recintate con i metal detector all’ingresso delle
zone dei cinema. Una frontiera di corpi e pensieri, che rispecchiano i tempi
bui in cui viviamo e che il nostro sguardo assimila come visione di confronto
tra etnie e diversità autoctone. Come ha voluto il direttore Marco Muller,
il suo scopo era quello di mettere di fronte alle platee degli spettatori un
cinema sconnesso, che sapesse mettere in scena un reale che sta mutando con le
contraddizioni presenti in una società instabile, ma viva e pulsante. A
dimostrazione di questo, è emblematico che il film di apertura della Mostra del cinema
sia Seven Swords di Tsui Hark
, che racconta della dinastia Qing e della sua estensione territoriale
sull’intera Cina. L’imperatore stabilisce nel suo edito il divieto alle arti
marziali, con la conseguente esecuzione per chi trasgredisce. Solo un piccolo
villaggio resiste alle brutali angherie dei mercenari dell’Imperatore con
l’aiuto di sette guerrieri dalle spade speciali della vecchia dinastia Ming. Tsui
Hark, ritorna al genere prediletto, il wuxiapian, che sarà composto da altre
due parti, che narra nella sua carica violenta delle coreografie dei
combattimenti, il decadimento dei valori di un mondo oramai scosso dalla
violenza, che si sprigiona attraverso lo scorrere del sangue. Un film dove i
caratteri dei personaggi portano con se il fardello di un coscienza infranta,
ma da ricostruire attraverso i valori di un tempo. Un gradito ritorno
all’universo a lui congeniale per Tsui Hark. Il concorso si è aperto alla
grande con Good
Night and Good Luck, seconda regia di George Clooney, che racconta in un
ritmo serrato e in un sfolgorante bianco e nero, la sfida del giornalista della
CBS, Edward R.Murrow contro i sopprusi della commissione del senatore McCarthy. Un film teso, che si allinea al
grande cinema americano degli anni settanta, capace di parlare di un eroe del
suo tempo, che diventa il monito inascoltato di una democrazia ferita, ma
ancora composta da uomini coraggiosi. Un secondo appello che sancisce la
nascita di un regista dalle promettenti capacità. Superlativo, Brokeback
Mountain di Ang Lee, che si apre sulla storia di un amore tra due cowboy,
imprigionati in un ruolo virile, ma corroso da una passione devastante. A
distanza degli anni, il loro essere amanti e il desiderio di sfuggire dalla
gabbia delle convenzioni, non avrà che un risvolto dettato dal destino, sancito
da un amore libero da ogni potere costituito che si libera attraverso la
memoria. Un opera di sconvolgente bellezza e coraggio, che mette in discussione
uno dei canoni di massimo vigore maschile americano, che confermano Ang Lee
come uno degli autori più coraggiosi nel panorama delle major americane. Altra
grande sorpresa nel concorso, è Sympathy for Lady
Vengeance di Park Chan-wook, con al centro la bella Geum-ja, uscita di
prigione dopo tredici anni per accusa di omicidio e pronta a vendicarsi. Un
film dove la purezza si alterna alla violenza dell’animo e diventa l’apice
grottesco di un mondo che vede del compiersi della vendetta una espiazione
possibile, ma è solo lo specchio deformato di una coscienza perduta sparsa in
mille pezzi. Vertice artistico per il regista sudcoreano, che si conferma
essere uno dei nomi di spicco della cinematografia odierna. Il film a sorpresa
del concorso, si è rivelato essere Takeshis, opera
avanguardistica di Takeshi Kitano, frammentata sugli aspetti iconici del suo
essere divo e attore riconosciuto, in un gioco di rimandi non sense e comici,
che non lascia alcun appiglio allo spettatore, e diventa uno sberleffo riuscito
di un sentirsi artista libero al suo zenit assoluto di ricerca stilista. Un
opera oltremodo coraggiosa, ma sicuramente priva di enormi consensi. Altro
ritorno gradito è quello di Philippe Garrel con Les Amants
Réguliers in un sessantonto di fervori idealisti e fuochi fatui di una
gioventù persa in un vuoto pneumatico di droga e ardori artistici. La storia
d’amore tra due ventenni, diventa lo sfondo amaro di un mondo in bianco e nero
dove lo smarrimento dell’essere trova l’autenticità umana nello sguardo
romantico di chi crede ancora nell’amore come la vera rivoluzione dell’essere e
non dell’apparire. Bello e necessario come può essere solo il migliore Garrel.
Dal fuori concorso, invece solo delusioni con il pessimo Fragile di Jaume Balaguerò
adagiato sulla solita storia di riporto di fantasmi e luoghi maledetti, senza
un briciolo di idea e incapace di instillare terrore. Non meno peggio The Exorcism of Emly Rose
di Scott Derrickson, horror su una possessione diabolica, piatta nei suoi
meccanismi di messa in scena e dalla morale oscurantista. Le giornate degli
autori, invece si è inaugurata con Le petit lieutenant
di Xavier Beauvois, costruito sulle tracce del polar, nel raccontare le
indagini quotidiane di un giovane tenente in un distretto parigino e del
profondo affetto che prova il suo capo, una splendida Natalie Baye, nei suo confronti,
come se fosse il figlio da lei perso in passato, e dimostra le difficoltà di
una vita dura e piena di cicatrici. Un opera interessante, abilmente
orchestrata da una regia attenta al contesto di un genere che offre spunti di
profonda umanità. Non ci spetta che aspettare altre sorprese dalle diverse
sezioni, con la speranza che qualche film italiano abbia la capacità di
stupirci con un nuovo sguardo.
Voto
8