Venezia Cinema 62: Quarto reportage di Scanner
Venezia Cinema 62: Terzo reportage di Scanner
Venezia Cinema 62: Secondo reportage di Scanner
Venezia Cinema 62: Primo reportage di Scanner
Mater Natura di Massimo Andrei
Constatiamo che in questa edizione della internazionale
d'arte cinematografica di Venezia, gli autori affermati hanno proposto
soprattutto nel concorso, un coraggio di stile e tematiche che hanno fatto
impallidire gli esordienti o i registi già navigati, che in Orrizonti e nella
Settima della critica si sono dimostrati omologati ad uno sguardo di cinema
privo di forza espressiva. Per quanto riguarda la pattuglia italiana, possiamo
dire che la delusione è doppia, visto la scarsa resa di pellicole come in
concorso di I
giorni dell'abbandono di Roberto
Faenza, con il racconto di una donna abbandonata dal marito per una ragazza
più giovane, rappresentata attraverso scelte di messa in scena imbarazzanti,
impigliando il film in una rete impressionante di cliché melò. La seconda notte di nozze di
Pupi Avati, si dedica hai suoi solito elementi da commedia agrodolce,
basata sulla storia di una vedova che con il figlio nel dopoguerra si
trasferisce nella casa del cognato in Puglia, soppesando i tempi narrativi con
le inevitabili scelte di un regista che da tempo non esprime più un cinema
degno di nota. Cristina
Comencini con La bestia nel cuore, firma un opera media sulle vicende di
una donna che in dolce attesa, le appaiono i ricordi di un passato doloroso,
localizzato all'interno del nucleo familiare. Una pellicola che non ha il
coraggio di andare fino in fondo per portare alla luce gli aspetti crudi che si
possono nascondere alle spalle dei propri genitori. Come purtroppo spesso ci
tocca dire, il cinema italiano delude per quanto riguarda la ricerca di un
cinema che possa competere con quella asiatico e americano. Mary, sempre in
concorso, rappresenta il ritorno di Abel Ferrara, che affonda le
sue ossessioni attraverso le immagini di un film sulla vita di Gesù, che
interlacciato alla realtà urbana, diventa lo specchio scuro di una realtà
sconnessa, dove la spiritualità è indefinita nelle sue varie chiavi di
interpretazione. Un opera confusiona, ma che dimostra la vitalità di Ferrara,
che ritorna con un cinema forte come ai suoi vecchi tempi. Romance & cigarettes di John Turturro, è un musical sboccato
sulle vite proletarie di una famiglia di operai, tutto veicolato attraverso il
sesso nella sua formazione orale, che a prima vista sembra scorretto per poi
finire come un film consolante e riconciliatorio. Divertente O Fatalista del
portoghese Joao
Botelho impresso sulla conversazione ininterrotta tra un signore che
attraversa il Portogallo con il suo autista, trasformandosi in un gioco sulla
forma del racconto, artefice stesso del cinema nella sua definizione meta
cinematografica, con un piglio ironico e letterato. Deludente Garpastum del
russo Alexey German jr, che racconta nella San Pietroburgo del 1917 le
illusioni di quattro giovani appassionati di calcio, prigionieri di un tempo
senza speranze. Un opera chiusa nel suo farsi cinema, incapace nel sprigionare
forza attraverso le immagini, se non in una cornice da film d'essai fine a se
stessa. Everlasting Regret di Stanley Kwan,
ambienta la sua storia nella Shangai degli anni quaranta, dove una donna
bellissima, viene tradita dai suoi amanti in un percorso storico che assume lo
spessore incantato di un animo nero, in un melò che incanta lo sguardo nelle
sue multeplici accezioni sentimentali, testimoniando il talento insuperato del
regista di Hong Kong, che finalmente si trova in concorso a Venezia. Conferma
il suo enorme talento, Laurent
Cantet al suo terzo film, con Vers
le sud, che ci spinge dentro le vite di tre donne nella Haiti degli anni
ottanta, sotto la dittatura del crudele Duvalier. La loro ricerca di amori con
gli isolani, diventa la crudele disamina di un presente occidentale che ha
perso la sua specificità e vuole trovare in questi luoghi immersi nella povertà
un senso di appartenenza, che sa di finzione nella sua vera persuasione
colonialista. Un dramma stupefacente che ha il coraggio di non declinare in un
finale declamatorio, ma insinua dubbi ed emoziona. The constant gardener di Fernando
Meirelles, mostra un stile internazionale per un polpettone spionistico,
estenuante nel sua forma narrativa e con caratteri senza alcun interesse, sul
tema dei crimini delle multinazionali farmaceutiche nella cornice africana, con
i vari stereotipi del luogo, mostrati lungo tutto il film. Gradito ritorno,
invece per Tim Burton che in
coppia con Mike Johnson ha dato vita a Corpse Bride, presente nel fuori
concorso, ritorno all'animazione in plastilina per raccontare la storia di un
novello sposo che per sbaglio enuncia il rito del matrimonio su la tomba di una
morta, risvegliano i suoi sentimenti e divento sua moglie nel regno dei morti.
Come ci ha insegnato Burton, le sue pellicole sono dedicati ai reietti o
emarginati, e questa volta ai morti, che il peso della loro vita precedente,
diventa il simulacro dell'amore eterno e sincero. Un film bello con una
animazione ritoccata al computer che piacerà più agli adulti che ai bambini.
Per concludere, non parleremo dei favoriti al Leone o agli altri premi, visto
che in questa edizioni i nomi palpabili per la vittoria sono tanti e stramente
ancora incerti ai più, per rimarcare il nostro entusiamo per il grande Hayao Miyazaki, che oggi riceverà
il meritato Leone d'oro alla carriera. La sua figura di artista rappresenta
esattamente il senso di questa Mostra, che ha visto al centro l'affermazione di
uno sguardo autoriale senza compromessi. Nel prossimo intervento i commenti
finali e i premi assegnati.
Voto
8 ½