L'anima di un uomo
Million Dollar Hotel
Buena Vista Social Club
Con L’anima di un uomo Wim Wenders
gioca nuovamente la carta del documentario musicale dopo il sorprendente
successo mondiale di Buena
Vista Social Club e la controversa prova offerta in The Million
Dollar Hotel. In particolare questo film s’inquadra in più ampio progetto,
denominato “The Blues” appunto, prodotto da Martin Scorsese e consistente in
sette escursioni filmiche sulla musica dell’anima, dirette tra gli altri dallo
stesso Scorsese,
da Mike Figgis e da Clint Eastwood. Rispetto a Buena Vista Social Club
cambia il genere musicale, decisamente meno immediato dei ritmi
latinoamericani, oltre ovviamente all’ambientazione, per quanto anche in questo
caso permane un comune retrogusto nostalgico. Quel che non muta è inoltre la
capacità di presa delle due pellicole e l’entusiasmo della riscoperta del mito
musicale di riferimento: nel dettaglio qui l’obiettivo di Wenders si muove
tra fiction documentaristica, filmati di repertorio e riprese on
stage, il tutto per ricostruire nel modo più romantico possibile i tre bluesmen che hanno segnato la giovinezza del
cineasta tedesco, ovvero Blind
Willie Johnson, voce narrante delle proprie gesta e di quelle di Skip James
e J.B. Lenoir, tre artisti accomunati dal trait d’union di un talento
palesato al mondo soltanto tardivamente e senza grossi ritorni economici, a
scapito di vite spesso vissute sul filo dell’indigenza. Come nel caso di Blind
Willie Johnson, accecato tragicamente da bambino nel corso di un alterco
familiare, baciato da un successo contenuto (e mai ricercato) e sepolto
nell’oblio per gli effetti della grande depressione degli anni Trenta
sull’industria discografica: scomparso artisticamente ma riesumato dal progetto
Voyager nel 1977, quando uno dei suoi blues
fu scelto tra i brani da inviare alla deriva dello spazio profondo come
esemplificazione dell’arte umana. Oppure come nel caso di Skip
James, adolescente contrabbandiere dotato di incredibile virtuosismo
chitarristico e pianistico, scoperto relativamente presto ma, come il
sopracitato collega non vedente, cancellato discograficamente dalla recessione
economica, riscoperto solo trent’anni dopo, quando ricomparve dal nulla sulla
scena del festival di Newport 1964, gravemente malato ma ancora in grande
smalto interpretativo, ed in tempo limite per reincidere il proprio repertorio
a beneficio degli appassionati. E, infine, come anche J.B. Lenoir,
istrionico sessionman e compositore in anticipo rispetto ai tempi,
stroncato da un tragico incidente sulla via di un tardivo successo ma capace di
lanciare un blues impegnato che
avrebbe marcato indelebilmente il genere negli anni a venire – impagabile la
chicca d’epoca relativa a J.B. Lenoir: un documentario amatoriale girato da due
ex studenti svedesi, rinvenuto e corretto da Wenders ad esclusivo beneficio
degli amanti del blues –. Lo stesso entusiasmo impiegato dal regista
tedesco nel ricostruire gesta e sventure dei suoi eroi di gioventù emerge,
limpidamente, nelle numerose covers che punteggiano L’anima di un uomo,
estrapolate dal repertorio dei tre artisti ed interpretate da un grande cast di
emuli contemporanei
dei nostri eroi: nomi del calibro di Lou Reed, Lucinda Williams, Nick Cave and
the Bad Seeds, Beck, Bonnie Raitt, T-Bone Burnett,
Cassandra Wilson e Los Lobos, tanto per citarne alcuni. L’anima di un uomo è
stato presentato a Cannes
2003 come evento speciale fuori concorso.
The Blues - L'anima di un uomo (The soul of a man), regia di Wim Wenders, con Chris Thomas King, Keith B. Brown; documentario; Germania; 2002; C.; dur. 1h e 40'
Voto
8+
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