L'anima di un uomo
Million Dollar Hotel
Buena Vista Social Club
Siamo nella cupa Los Angeles del 2001, una frenetica metropoli che ogni mattina si riaccende di vita ufficiale, mentre di notte diventa una terra di nessuno frequentata da tossici e pusher, mattoidi e freaks, prostitute e protettori, falliti generalizzati: il loro punto di incontro e di ritrovo, vera città a parte imbrigliata nelle maglie della megalopoli urbana, è uno sgangherato palazzo che di nome fa MIllion Dollar Hotel -
ogni concessione alla ricchezza da parte dello stabile si ferma inevitabilmente al nome magniloquente -
. L'albergo è un ospizio di anime disperate e allo sbando, gente perduta in un atteggiamento, in un'idea, in una speranza: tutti, indistintamente, impegnati in una disincantata lotta per la sopravvivenza. Già, perché all'hotel da un milione di dollari si guarda la TV, si parla, si dipinge, si canta e ci si droga: capita però che una scheggia impazzita di un meccanismo di schegge fuori controllo dai binari della quotidianità decida di mettere fine alla propria vita, forse (chi può dirlo?) che qualcuno gli dia una mano ad attuare l'insano proposito, un volo dall'attico dell'hotel con ultima fermata sul selciato sottostante. Capita poi che quell'apparente nullità potesse invece contare su natali illustri: noto a tutti i suoi compari di vagabondaggio come Izzy, anima persa, è allo stesso tempo figlio di un magnate dell'editoria, per giunta ebreo e piuttosto sprezzante in materia di suicidio. Un ossimoro sulla direttrice padre e figlio. Avviene così che venga aperta un'indagine ed inviato prontamente un investigatore duro e scafato secondo copione, il rigidissimo agente molto speciale Skinner, uno che apparentemente non sopporta la corte dei miracoli dell'hotel, che non parla il loro linguaggio, che in fondo neanche crede che la vittima sia una vittima, quanto un suicida, ma che è comunque disposto a tutto pur di arrivare alla verità, quale che sia: e che in fondo (secondo ossimoro) è gentile e disposto a concedere sempre una possibilità ai suoi sospettati (in pratica a tutto l'albergo). E nel mezzo dell'indagine si focalizza il rapporto d'amore di un sognante pseudo-ritardato, il gentilissimo Tom Tom, per la bella Eloise, una prostituta con la vocazione della santa vergine (altro ossimoro), una che sa di non esistere e ricorda tutto. Tom Tom vive di espedienti e raccoglie regalini in giro per la città vagando sul suo skate: oggetti da donare agli ospiti dell'hotel, perché lui è un vero maggiordomo dei pezzenti (ennesimo ossimoro). Se inseriamo in siffatta trama ossimorica le decine di riferimenti a testi musicali, uno pseudo John Lennon che si chiama Walrus come la canzone (un capolavoro di surrealismo), qualche frammento lirico trash, qualche dimostrazione di regia volta a rappresentare deframmentazioni temporali, una bella colonna sonora a forte base U2-Bono Vox (coautore della sceneggiatura), il tema della pittura e dell'arte-spazzatura, un genere chiuso come il thriller inframmezzato da squarci comici alternati ad altri drammatici… Il risultato non può che essere il coacervo narrativo e tematico di The Million Dollar Hotel: dentro c'è un po' di tutto shakerato vorticosamente, per fortuna l'ultimo Wenders ci regala anche dieci minuti finali dove la storia fa macchina indietro, con il solito illuminato Tim Roth, almeno per non farci uscire dal cinema con la sensazione di non aver assolutamente capito dove realmente volesse andare a parare. D'altra parte, bisogna comprendere il regista tedesco: la storia documentaristica e rettilinea di Buena Vista Social Club deve aver stimolato in lui il desiderio di intrecciare fili ben più complessi: forse c'è anche riuscito, ma la poesia stavolta è talmente rarefatta che non si vede più. The Million Dollar Hotel, regia di Wim Wenders, con Milla Jovovich, Mel Gibson, Jeremy Davies; thriller; Usa; 2000; C.; 2h e 2'
Voto
6
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