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  26/04/2024 - 07:28

 

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Scanner - musica
 


Giorgio Gaber dal vivo
L'artista milanese presenta il suo ultimo album
Cronaca di una serata tra parole e musica al teatro Puccini di Firenze

 




                     di Paolo Boschi


La mia generazione ha perso
Giorgio Gaber dal vivo
Io non mi sento italiano


A Giorgio Gaber, milanese, classe 1939, va dato atto di conservare ancora intatta l’onestà intellettuale che gli ha fatto scegliere l’attività teatrale sacrificando una dorata carriera televisiva. Dopo vent’anni ha pubblicato un album di studio, La mia generazione ha perso, ed ha iniziato a presentarlo al suo pubblico nei teatri di tutta Italia. Al Teatro Puccini di Firenze l’incontro è andato in scena lo scorso 10 maggio: gli inviti, rigorosamente gratuiti, erano andati esauriti in pochissimi giorni. Gaber ha iniziato ricordando i suoi esordi: «La chitarra ho cominciato a suonarla che avevo otto o nove anni, e i miei miti erano jazzistici. Ho iniziato ad ascoltare dischi americani, in vinile, che facevano un piacevole brusio mentre ci facevano sentire questa musica stranissima che per noi era assolutamente stravolgente, e a poco a poco mi sono affezionato al jazz fino a tentare di suonare la chitarra con velleità jazzistiche, velleità che poi rimanevano tali perché poi bastava che arrivasse uno, non che fosse americano, ma fosse stato dieci minuti in America, che suonava già meglio di me. Io studiavo e non ero di famiglia eccessivamente benestante, mi pagavo gli studi suonando musica da ballo. Dopo aver partecipato a diversi spettacoli come chitarrista di un giovane pazzo, Adriano Celentano, ho inciso il mio primo disco di rock’n’roll, non perché fossi un cantante di rock’n’roll, ma perché all’epoca tuttieravamo appassionati alla moda del periodo. Periodo tra l’altro piuttosto importante, perché è alla fine degli anni Cinquanta che i giovani diventano consumatori autonomi di dischi (adesso non si parla più di cittadini ma di consumatori): la verità è che allora gli acquisti li facevano i genitori, ed i giovani sentivano la musica degli adulti. Poi abbiamo scoperto la Francia, e da lì è venuta l’esigenza di scrivere canzoni con testi più significativi. E’ così che l’amore per il jazz viene accantonato, più per incapacità che per altro, e ci mettiamo a fare altre cose: io per esempio scrivo Non arrossire, canzone del 1960, che si ispira a Henry Salvador. Ho saputo tra l’altro che di recente è rientrato in classifica in Francia: Henry Salvador ha ottantatre anni, io ne ho sessantadue, quindi ho davanti una carriera. Amai moltissimo Jacques Brel, che ha assai influenzato il mio modo di cantare». Tra un attacco di Torpedo blu e la rievocazione della funzione sociale del bar, sorta di «intercapedine tra la vita familiare e il mondo», Gaber ha ricordato come è sbocciato il suo amore per il teatro: «Feci due anni di tournées con Mina. Io ero popolare ma non popolarissimo sebbene avessi fatto molta televisione, ma Mina, insomma, era la grande diva. La gente veniva per Mina, e quindi i teatri erano gremitissimi, il pubblico inneggiava “Mina! Mina!”, e si apriva il sipario: c’ero io. Ho visto che il teatro era una dimensione congeniale, contemporaneamente il Piccolo Teatro di Milano mi chiede di fare degli spettacoli e quindi io, che in quel momento sono un personaggio televisivo, decido che mi diverto molto di più a fare il teatro, e mi dedico esclusivamente al teatro smettendo di fare televisione e dischi». Non sono mancati estratti dall’ultimo album: la proiezione del video di Destra-Sinistra ed una suggestiva interpretazione live de La razza in estinzione. E l’artista milanese non ha mancato di ricordare il Signor G: «Il Signor G era impegnato, in quel periodo cambia un po’ tutto: ricordo che in quegli anni mia moglie – si lo so è di Forza Italia, m’han fatto un culo così... – frequentava l’università statale. Io allora avevo un’automobile da cantante, si sa i cantanti avevano auto da cantanti, io avevo una bellissima Jaguar e  andavo alla Statale, vedevo questi ragazzi che mi guardavano con un’aria non di strafottenza ma come a dire: “A noi queste cose non interessano, sono molto banali e consumistiche, noi crediamo che il mondo possa essere diverso e si possano avere dei valori diversi”. Ecco quegli anni lì hanno contribuito sicuramente a farmi cambiare la mia attività, hanno contribuito a farmi fare il mio mestiere in maniera diversa, mi hanno spinto verso interessi diversi. E quindi a quegli anni devo della riconoscenza, le cose poi cambiano ma io di quegli ho qualche rimpianto». La mia generazione ha perso è entrato a sorpresa nelle zone alte della classifica, ma Gaber ha colto lo spunto per ironizzare su un insolito dettaglio anagrafico: «Questo disco che io fatto, anche perché non facevo nessuno spettacolo, è entrato nelle classifiche, cosa che non mi aspettavo assolutamente. Però è curioso che la settimana scorsa c’era Vasco che era in testa ed ha quasi cinquant’anni, poi c’era Mina che ne ha sessantuno, anzi no, secondo ero io e poi terza Mina, poi Celentano che ne ha sessantatre e quindi c’era Battiato che ne ha cinquantasei. Titolo sui giornali: la loro generazione ha perso, ma vende i dischi».

Voto 8 

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