La mia generazione ha perso
Giorgio Gaber dal vivo
Io non mi sento italiano
A Giorgio Gaber, milanese, classe
1939, va dato atto di conservare ancora intatta l’onestà intellettuale che gli
ha fatto scegliere l’attività teatrale sacrificando una dorata carriera
televisiva. Dopo vent’anni ha pubblicato un album di studio, La mia generazione ha perso,
ed ha iniziato a presentarlo al suo pubblico nei teatri di tutta Italia. Al
Teatro Puccini di Firenze
l’incontro è andato in scena lo scorso 10 maggio: gli inviti, rigorosamente
gratuiti, erano andati esauriti in pochissimi giorni. Gaber ha iniziato
ricordando i suoi esordi: «La chitarra ho cominciato a suonarla che avevo otto
o nove anni, e i miei miti erano jazzistici. Ho iniziato ad ascoltare dischi
americani, in vinile, che facevano un piacevole brusio mentre ci facevano
sentire questa musica stranissima che per noi era assolutamente stravolgente, e
a poco a poco mi sono affezionato al jazz fino a tentare di suonare la chitarra
con velleità jazzistiche, velleità che poi rimanevano tali perché poi bastava
che arrivasse uno, non che fosse americano, ma fosse stato dieci minuti in America, che suonava
già meglio di me. Io studiavo e non ero di famiglia eccessivamente benestante,
mi pagavo gli studi suonando musica da ballo. Dopo aver partecipato a diversi
spettacoli come chitarrista di un giovane pazzo, Adriano Celentano, ho inciso
il mio primo disco di rock’n’roll,
non perché fossi un cantante di rock’n’roll, ma perché all’epoca
tuttieravamo appassionati alla moda del periodo. Periodo tra l’altro piuttosto
importante, perché è alla fine degli anni Cinquanta che i giovani diventano
consumatori autonomi di dischi (adesso non si parla più di cittadini ma di
consumatori): la verità è che allora gli acquisti li facevano i genitori, ed i
giovani sentivano la musica degli adulti. Poi abbiamo scoperto la Francia, e da
lì è venuta l’esigenza di scrivere canzoni con testi più significativi. E’ così
che l’amore per il jazz viene accantonato, più per incapacità che per altro, e
ci mettiamo a fare altre cose: io per esempio scrivo Non arrossire,
canzone del 1960, che si ispira a Henry Salvador. Ho saputo tra l’altro che di
recente è rientrato in classifica in Francia: Henry Salvador ha ottantatre
anni, io ne ho sessantadue, quindi ho davanti una carriera. Amai moltissimo
Jacques Brel, che ha assai influenzato il mio modo di cantare». Tra un attacco
di Torpedo blu e la rievocazione della funzione sociale del bar, sorta
di «intercapedine tra la vita familiare e il mondo», Gaber ha ricordato come è
sbocciato il suo amore per il teatro: «Feci due anni di tournées con
Mina. Io ero popolare ma non popolarissimo sebbene avessi fatto molta
televisione, ma Mina,
insomma, era la grande diva. La gente veniva per Mina, e quindi i teatri
erano gremitissimi, il pubblico inneggiava “Mina! Mina!”, e si apriva il
sipario: c’ero io. Ho visto che il teatro era una dimensione congeniale,
contemporaneamente il Piccolo Teatro di Milano mi chiede di fare degli
spettacoli e quindi io, che in quel momento sono un personaggio televisivo,
decido che mi diverto molto di più a fare il teatro, e mi dedico esclusivamente
al teatro smettendo di fare televisione e dischi». Non sono mancati estratti
dall’ultimo album: la proiezione del video di Destra-Sinistra ed una
suggestiva interpretazione live de La razza in estinzione. E l’artista milanese non ha mancato
di ricordare il Signor G: «Il Signor G era impegnato, in quel periodo cambia un
po’ tutto: ricordo che in quegli anni mia moglie – si lo so è di Forza Italia,
m’han fatto un culo così... – frequentava l’università statale. Io allora avevo
un’automobile da cantante, si sa i cantanti avevano auto da cantanti, io avevo
una bellissima Jaguar e andavo alla
Statale, vedevo questi ragazzi che mi guardavano con un’aria non di
strafottenza ma come a dire: “A noi queste cose non interessano, sono molto
banali e consumistiche, noi crediamo che il mondo possa essere diverso e si
possano avere dei valori diversi”. Ecco quegli anni lì hanno contribuito
sicuramente a farmi cambiare la mia attività, hanno contribuito a farmi fare il
mio mestiere in maniera diversa, mi hanno spinto verso interessi diversi. E
quindi a quegli anni devo della riconoscenza, le cose poi cambiano ma io di
quegli ho qualche rimpianto». La
mia generazione ha perso è entrato a sorpresa nelle zone
alte della classifica, ma Gaber ha colto
lo spunto per ironizzare su un insolito dettaglio anagrafico: «Questo disco
che io fatto, anche perché non facevo nessuno spettacolo, è entrato nelle
classifiche, cosa che non mi aspettavo assolutamente. Però è curioso che la
settimana scorsa c’era Vasco
che era in testa ed ha quasi cinquant’anni, poi c’era Mina che ne ha
sessantuno, anzi no, secondo ero io e poi terza Mina, poi Celentano che ne ha
sessantatre e quindi c’era Battiato che ne ha
cinquantasei. Titolo sui giornali: la loro generazione ha perso, ma vende i
dischi».
Voto
8