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  24/04/2024 - 07:05

 

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Scanner - musica
 


Giorgio Gaber
La mia generazione ha perso
[Cgd/East West 2001]
Quando la sconfitta generazionale vince in classifica...

 




                     di Paolo Boschi


La mia generazione ha perso
Giorgio Gaber dal vivo
Io non mi sento italiano


E’ sempre tranquillo e disincantato Giorgio Gaber: nonostante il titolo del suo ultimo album, La mia generazione ha perso, abbia un retrogusto chiaramente amaro, il cantante-attore milanese continua a raccontare cose che molto danno da pensare coltivando nel contempo l’arte di non prendersi troppo sul serio, particolare tutt’altro che accessorio nella canzone d’autore contemporanea. Il riferimento cronologico, evidente nel titolo, ben si coniuga con l’onestà intellettuale di un artista che ha sempre preferito porsi dubbi ed ha cercato di farli sorgere nel pubblico, piuttosto che offrire risposte assolute quanto facili. Anche la musica di Gaber è sempre la stessa, a mezzo tra lo chansonnier e l’autore di canzonette, come pure intatto è il binomio creativo formato da Gaber e Sandro Luporini in cabina di scrittura. Nella tracklist (il cantattore probabilmente aborrirebbe il termine) trovano spazio dodici brani che affrontano, più o meno, tre grandi temi: la politica (ed il sociale), l’amore (e la persona), la riflessione esistenziale o filosofica che dir si voglia. Si comincia con Si può, un brano già edito e riaggiornato, un ironico inno alla diffusione di pseudo-libertà circolanti nella società, segnata dall’ossimorica aspirazione alla libertà obbligatoria. A ruota arriva il tono elegiaco di Verso il terzo millennio, una canzone che offre una sofferente riflessione sulla vita contrappuntata da una struggente chitarra classica, giusto con uno spiraglio di speranza nella chiusa. Il brano successivo s’intitola Il conformista: Giorgio Gaber vi disegna un ritratto ironico e sbeffeggiatorio dell’individuo che “pensa per sentito dire” e, lungo un blando reggae di periferia, all’occorrenza attraversa in progressione tutti gli i possibili ‘ismi’ ideologici. Poi c’è una bella canzone d’amore come Quando sarò capace d’amare, delicata e di rara sensibilità. La razza in estinzione è probabilmente la gemma dell’album e ne contiene il titolo in un verso; attraverso un’atmosfera musicale memore dell’ultimo Sting ed un taglio critico gucciniano Gaber lancia affermazioni mirate, decise, provocatorie, per concludere “possiamo raccontarlo ai figli senza alcun rimorso, ma la mia generazione ha perso”: insieme alla successiva Canzone dell’appartenza, intensa da far male, costituisce il cuore e l’anima dell’album. Il potere dei più buoni utilizza un arrangiamento di sapore circense per lanciare frecciate all’ipocrisia imperante ai piani alti della società. Nell’ultima parte del disco troviamo ancora due belle canzoni d’amore: Un uomo e una donna, il fulcro da cui riparte il mondo, e Il desiderio, per Gaber la chiave non solo dell’amore ma di tutto il resto, nel mezzo Destra-Sinistra, brano già edito, un vero cult che contrappone, sdrammatizzandole, ideologie (solo talvolta) agli antipodi, attraverso un soul semiserio ed un taglio deliziosamente grottesco. La chiusa de La mia generazione ha perso è il dittico composto da L’obeso, metafora inquietante (anche sul fronte musicale) dell’individuo contemporaneo che s’ingozza d’informazioni, ed infine la registrazione live di Qualcuno era comunista, un brano in gioioso crescendo d’intensità emotiva: parole toccanti, epiche, che arrivano al cuore e, solo dopo, si lasciano razionalizzare. C’è un gran bisogno di musica come questa.

Giorgio Gaber, La mia generazione ha perso [Cgd/East West 2001]

Voto 8+ 

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