Eat the phikis
Craccracriccrec
Made in Japan Live
Cicciput A
Cicciput B
Fave e adepti del culto del Monociglione avranno sicuramente appeso alla porta il nastro azzurro, perché ha finalmente visto la luce Cicciput, l'ultima creatura degli Eli così chiamata in onore dell'angelo dei soldi evocato dal sensitivo Gennaro D'Auria.
Pur non raggiungendo i livelli di Elio samaga hukapan karijana turu e soprattutto Italyan, rum casusu cikty, due album frutto di una creatività debordante, Cicciput è un prodotto eccellente che si colloca idealmente tra Eat the phikis e Craccracriccrecr, il lavoro al quale assomiglia di più come struttura risultando comunque molto più divertente di quest'ultimo, inevitabilmente condizionato dalla morte dell'amico nonché insostituibile polistrumentista Feiez. Forse è proprio questo il vero punto di forza dell'album, minuziosamente iper-prodotto dal gruppo e da MC Costa: la ritrovata voglia di divertirsi e quindi di divertire.
Tre i brani che da soli valgono l'acquisto: Litfiba tornate insieme, Abate Cruento e Pilipino Rock sanno di futuri classici e fanno ben sperare in previsione di infuocate esibizioni dal vivo anche se quasi tutti i pezzi, compresi i più ostici come Pagàno e Budy Giampi, stupiscono con inaspettati finali, trovate genialoidi e citazioni più o meno colte.
Il lavoro di Cesareo (che sfodera a tratti un suono alla Brian May) e Rocco Tanica viene sempre magistralmente sorretto da una sezione ritmica potente e raffinata con un Christian Meyer in grande evidenza, anche se su tutto domina il basso imperioso di Faso, un artista di una musicalità più unica che rara, ancora più virtuoso perché mai fine a se stesso.
Numerosi gli ospiti, tra i quali Giovanni Imparato alle percussioni su La Chanson (ovvero la risposta oscena alla canzone di Carla Bruni), Danilo Sacco sulla potentissima Cani e padroni di cani (superbe le ritmiche al fulmicotone di Cesareo) e Ike Willis, un altro ex-Zappa dopo Vinnie Colaiutachiamato a collaborare con gli Eli, su Gimmi I..
Eccellenti i testi goliardici e dissacranti come sempre, forti del consueto linguaggio "adatto a scandalizzare gli idioti", per parafrasare Daniele Luttazzi, ma esilaranti anche nei momenti agrodolci.
Tutto da gustare inoltre il libretto nonostante una copertina insolitamente anonima per gli standard del gruppo, ed imperdibili gli intermezzi tra i brani, in particolar modo le impressioni dell'uomo della strada così finte da sembrare vere (o così vere da sembrare finte?), le freddure di Bisio e l'intro de La follia della donna nel quale Roger Waters tenta di rubare le idee a Renato Zero (assolutamente geniale…).
Insomma: l'ennesimo zuccherino per il cervello targato EelST.
Voto
8