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  19/04/2024 - 09:58

 

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Scanner - musica
 


Black Eyed Peas
Monkey business
[A&M Records 2005]

 




                     di Paolo Boschi


Tutto si può dire dei Black Eyed Peas meno che non sappiano cucinare qualunque cosa in salsa hip-hop. D'altra parte è proprio con questa formula che il quartetto statunitense, nato nel lontano 1992 da una coppia di MC e ballerini di break dance, dopo lunga gavetta finalmente era riuscito a conquistare l’America e poi il mondo intero vendendo oltre sette milioni di copie di quel gioiellino di Elephunk, uscito nell'anno di grazia musicale 2003. Con Monkey business Will.I.Am, Apl.de.Ap, Taboo e l’ultima arrivata, la bella vocalist Fergie, hanno furbescamente ripetuto ad arte la loro ricetta vincente (assai funzionale in termini commerciali), con l’aggiunta di qualche celebre guest e tante citazioni musicali più o meno illustri. L'hip-hop d'intrattenimento easy listening proposto nelle sue mille sfumature dal pop al funk resta la direzione privilegiata anche in Monkey Business, album che ha già fruttato al gruppo statunitense un nugolo di hits ed appare già avviato a bissare il successo riscosso a sorpresa dal disco precedente. E ci riuscirà oltre ogni ragionevole dubbio, anche grazie all’indubbia promozione di cui i pezzi godranno in radio (sembrano fatti apposta per la diffusione via etere) e sul piccolo schermo con i relativi videoclips, colorati e patinatissimi, anch’essi concepiti per intrigare ad arte il pubblico di Mtv e dintorni: insomma, un gruppo concreto dal punto di vista musicale, ma anche molto attento all’apparenza, ad associare al proprio sound di tendenza un look adeguatamente bizzarro e modaiolo – a prescindere dagli eccessi di dubbio gusto che Fergie ha mostrato in materia d’abbigliamento –. Ma andiamo con ordine: la tracklist assortisce complessivamente sedici tracce. D’obbligo segnalare l'apripista Pump it, che rilegge uno dei motivi più noti della mitica soundtrack di Pulp fiction, quindi il contagioso singolo My humps e l’intrigante Feel it. In ambito collaborazionistico spiccano My style con Justin Timberlake, la deliziosa Gone going gone con Jack Johnson e la guest de-luxe Matthew Gordon Sumner in arte Sting nel remix formato Black Eyed Peas della sua briosa ed elegante Englishman in New York, che in Monkey Business è diventata Union e, soprattutto vocalmente, non pare più la stessa cosa - i fans della band la troveranno grandiosa, mentre agli estimatori dell'ex leader dei Police il contrasto parrà certo stridente -. Ma la gemma invero degna di nota è certo l’irresistibile funk che colora la contagiosa They don’t want music, dove è il vecchio ma inossidabile James Brown, dall’alto delle sue insospettabili settantadue primavere, a dettare i tempi ai suoi emuli del terzo millennio, tra i quali spicca una Fergie particolarmente ispirata. Nel complesso un tranquillo disco di puro intrattenimento, sostanzialmente privo di sorprese o di picchi creativi di sorta, ma indubbiamente contagioso. Parafrasando i Rolling Stones, in fondo è solo hip-hop, ma ci piace...

Black Eyed Peas, Monkey business [A&M Records 2005]

Voto 7 

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