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Strani Umori II
Di e con Silvia Guidi, Dimitri Milopulos
Chi non è carnefice scagli la prima pietra
8, 9, 10, 11, 14, 15, 16, 17, 18 aprile 2010 al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino

 




                     di Tommaso Chimenti


Strani Umori - 2007
Strani Umori II - 2010


Chi non è carnefice scagli la prima pietra. E’ un gioco sottile, violento e feroce, quello che scorre nel red carpet che divide e separa le due poltrone sul palco del Teatro della Limonaia dove due amanti pericolosi si rimbalzano accuse in questa partita malata rimpallandosi responsabilità e colpe. C’è una mente che istiga, lei (Silvia Guidi, aggressiva, jacknicholsoniana, una Courtney Love mefistofelica e isterica), c’è un braccio (Dimitri Milopulos, allucinato alla Dorian Gray, deviato, compresso di rum e occhiaie, Gorillaz style, tracanna come Bukowski, disfatto come Nosferatu, distrutto come un cartone animato spiegazzato) debole e armato. Due anime nere, Erika e Omar?, maledetti, Natural Born Killers?, che si violentano a parole, folli e lucidi, angeli d’inchiostro, lupi solitari, vampiri psicotici. Se nel primo “Strani Umori” la fossa dei leoni succhiava le ossa del sesso, qui le iene si accaniscono sull’omicidio. Dalle parole, pensate, arruffate, giocate, alla realtà, dal virtuale bla bla bla al fattivo scorrere del sangue. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il. Un incontro fortuito e scatta l’ingaggio. Non soltanto i due killer sono intenzionati a portare a compimento l’idea, ambiziosi e competitivi l’uno con l’altro, ma anche la vittima si fa volentieri preda e martire nelle loro mani. Ricorda il caso del tedesco che pubblicò un annuncio dove chiedeva espressamente se c’era qualcuno che era disposto a mangiarlo: lo trovò. Ogni masochista ha bisogno del suo sadico, ogni slave del suo master. Loro cercano, lui si fa trovare. Incastro, tetris, bingo, gol. Ma questa è un’indagine dal di dentro dove i due protagonisti complici si fanno anche investigatori l’uno dell’altro in una sorta di guerra per scoprire i punti deboli e vulnerabili dell’amico-avversario. Una confessione dove, come in uno specchio rotto, la realtà, a seconda del punto di vista, si svuota di sensi di colpa o si aggrava di lussuria e eccitazione, dove lo stesso tragico evento può essere filtrato dalla crudeltà o da quel minimo di coscienza rimasto. Raccontano l’omicidio come un rapporto sessuale. Si gioca sul filo del rasoio. Non c’è morale, non ci può essere. Il prescelto è comunque un pretesto, agli occhi della coppia patologica. E’ lui che intromettendosi negli equilibri fragili come cristallo finissimo si autocandida a diventare lo scoglio, il punto di non ritorno del duo, e quindi, paradossalmente, a rafforzarlo, a renderlo immortale, eterno. Il patto di sangue è stato tracciato tranciando la carne del sacrificato. Tensione e nervosismo come molliche di pane inzuppate nel latte. Odio e amore scorrono tra i due. Veleno a fiumi. E’ il desiderio il fattore mancante che entrambi riescono ad individuare nell’agente esterno che arriva all’improvviso a rinsaldare, a rivitalizzare la coppia ormai inariditasi. Ma la loro formula, che li tiene legati ed ancorati, “né con te, né senza di te”, non prevede un terzo incomodo ambiguo che scatena la gelosia. Neo i bicchieri di plastica. Nessun applauso, please.

Voto 7 

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