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  19/04/2024 - 20:39

 

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Charles Bukowski
Il Capitano è fuori a pranzo
Milano, Feltrinelli, 2000; pp. 138
Bukowski, il computer, la morte e i cavalli

 




                     di Paolo Boschi


Il Capitano è fuori a pranzo, pubblicato dopo la morte di Charles Bukowski (1920-1994), è una bella occasione per accostarsi all’opera dell’autore californiano. Non è una raccolta di racconti o di poesie, né un romanzo, ma un diario di succinto formato nel quale Bukowski annota i fatti salienti e la routine dei suoi ultimi anni, con una bella dimostrazione di autocritica fin dalla prima pagina: “Trovo che chi tiene un diario e ci scrive i suoi pensieri sia una testa di cazzo. Io lo faccio soltanto perché qualcuno me l’ha proposto, quindi vedete che non sono nemmeno una testa di cazzo originale”. Le annotazioni dell’autore di Storie di ordinaria follia e Taccuino di un vecchio sporcaccione prendono il via dalle 23.28 del 28 agosto 1991 e si interrompono alle 12.56 del 27 febbraio 1993, poco prima della sua morte: si comprende fin dalla precisione oraria che sono pagine scritte al computer, e da uno che, oltre ad aver vissuto una vita spesso randagia ed irregolare, ha sempre lavorato alla macchina da scrivere e si è avvicinato alla tecnologia dopo i settant’anni, restandone profondamente affascinato. Ne Il Capitano è fuori a pranzo le poche pagine estasiate rivelano proprio lo stupore del vecchio Bukowski davanti ad uno schermo digitale dove i suoi pensieri volano trovando forma immediata: “Con la macchina da scrivere è come camminare nel fango. Con un computer, si pattina sul ghiaccio. E’ una fiamma che divampa. Chiaro, se non hai qualcosa dentro è tutto inutile. Per non parlare del lavoro di rifinitura, le correzioni. Diavolo, prima dovevo riscrivere tutto due volte. La prima per buttarlo giù, la seconda per correggere gli errori e i casini. Così invece basta una, per divertirsi, per la gloria, per la fuga”. Altre note liete oltre al Macintosh ed alla sua scrittura sono la musica di Mahler, la routine dell’ippodromo e la morte che, non a caso, costituisce una tematica fondamentale di queste pagine: analizzata, sviscerata e confessata come una necessità da abbracciare senza rimorsi, perché la cosa veramente terribile “non è la morte, ma la vita che la gente non vive”. Il suo diario di bordo costituisce un’ottima testimonianza del carattere occasionale della narrativa di Bukowski: le quasi quotidiane corse dei cavalli, non solo a perdere giornate a puntare su vincenti e piazzati, ma soprattutto ad osservare la fauna umana che popola l’ippodromo. Per certi versi quasi una routine necessaria, un pedaggio dovuto per dare sfogo alle sue esigenze scrittorie durante le nottate al computer, tra una bevuta ed una sigaretta (ma il Bukowski anziano è più regolare che in gioventù. Poi , tra un bozzetto e l’ennesima riflessione, arrivano numerose anche le critiche feroci contro sbirri e giornalisti, fotografi e filosofi, musicisti ed attori, contro Hollywood in genere e, soprattutto, contro scrittori e poeti. Bukowski ne ha per tutti, li accetta ma non risparmia nessuno: “Perché le persone interessanti sono così poche? Con tanti milioni, perché sono così poche? Dobbiamo continuare a vivere con questa specie noiosa e monotona? Sembra che il loro unico gesto sia la Violenza. In quello sono bravissimi. Brillano. Luccicore di merda, che ci ammorba ogni possibilità. Il problema è che devo continuare a interagire con loro”. Realistico ed espressivo, fantasioso ed espressivo, giusto un po’ malinconico: è sempre il vecchio Charles Bukowski, che racconta il mondo raccontando se stesso: “Il Capitano è fuori a pranzo e i marinai hanno preso il comando della nave”. Il volume è corredato dagli efficaci disegni di Robert Crumb.

Charles Bukowski, Il Capitano è fuori a pranzo, Milano, Feltrinelli, 2000; pp. 138

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