Non sono mai andato pazzo per le biografie e per le autobiografie, ma negli ultimi anni sto iniziando a cambiare idea. Merito di artisti - autori resilienti, di storie artistiche e di vita intriganti. E’ il caso di “Gravità Zero” di
Joe Jackson, traduzione italiana del suo libro A Cure For Gravity, che nell’edizione originale fu pubblicato nel 1999. E nel 2000 fu finalista del Premio Ralph J. Gleason Music Book. Il libro, che è stato tradotto in tedesco e olandese, finalmente nel giugno 2019 è stato pubblicato dalle edizioni Vololibero, con la traduzione italiana curata da Fabrizio Forno. A 20 anni dalla prima uscita, questa particolare opera biografica, che ha come sottotitolo “Un viaggio nella musica”, anche se in tutto questo tempo non è stata mai aggiornata, conserva inalterato tutto lo smalto e l’interesse. E francamente è uno dei libri che andrebbe fatto leggere ai giovani, aspiranti musicisti di oggi per fare capire, almeno ai meno presupponenti, quanta caparbietà e impegno siano basilari, accanto al talento, per fare musica in maniera originale e che duri nel tempo.
Risposte e quesiti che ogni musicista deve saper cogliere investendo su se stesso. Lo ha fatto anche il polistrumentista, cantante e compositore nato da una famiglia proletaria a Burton-on-trent nel 1954 e ce lo racconta partendo da quando a un anno di vita si trasferì a Portsmouth, per poi trascorrere l’infanzia tra le strade di Pompey e la casa dei nonni a Swadlincote, nel Derbyshire.
In pratica Gravità Zero ci racconta le passioni e le pulsioni private e artistiche di Joe Jackson fino all’incisione del primo disco nel 1979, l’ottimo debutto con “Look Sharp!”, il suo album più venduto.
Una narrazione in cui la gavetta personale di questo atipico fan di Beethoven si fortifica alla Royal Academy of Music, per poi tentare la via del live con varie formazioni prima di arrivare alla sospirata la Joe Jackson Band.
Per arrivarci Joe Jackson ha esaltato sperimentando in varie direzioni la sua passione per la musica di tutti i generi, un mondo variegato che freme per Šostakovic e per The Prodigy. La sua è un’educazione musicale che non ignora, anzi approfondisce la lezione degli Steely Dan e di Beethoven, ma non ha paura di denunciare la sua avversione per Brahms e Brian Eno.
C’è tutto questo in questo avvincente "A Cure For Gravity" dedicato a un’educazione sentimentale, artistica e umana che si specchia nella passione per la musica e nell’odio dei luoghi comuni, prima di arrivare a farsi baciare dalle luci della ribalta. Un percorso lungo un libro che si conclude con le prime soddisfazioni, che arrivano quando il musicista inglese scopre di avere davvero qualcosa da dire, da suonare.
Nel mezzo un’Inghilterra dei piccoli borghi, delle cittadine dai colori grigi, tra discariche, relitti industriali, locali frequentati da scatenati skinhead, da marinai ubriachi che s'azzuffano. Una palestra di vita di farsi valere nelle Londra del punk e della new wave, fino a raggiungere (e mantenere stretta) la celebrità.
Voto
8
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