Presentazione festival del Cinema 2010
Primo reportage di Scanner
Secondo reportage di Scanner
Premi festival del Cinema 2010
La Mostra del Cinema parte
zoppicando con code interminabile al ritiro degli
accrediti e un panorama che sembra assomigliare ad un cantiere che smembra i
percorsi intorno al festival, rendendo poco agevole i passaggi e deturpando
l’effetto scenico di questo palcoscenico esposto ai media del mondo. Ci
auguriamo che almeno il prossimo anno si possa vedere la quasi conclusione del
nuovo palazzo del cinema, con il ripristino della sua conseguente atmosfera
gioiosa che si respira nei giorni della manifestazione. L’apertura di quest’anno aspetta a
Black Swan del fresco leone d’oro dell’edizione scorsa,
Darren Aronofsky, che si
cimenta con un genere tutt’altro diverso: un thriller psicologico. Girato tutto
sulle ottime spalle di Natalie Portman, aderente alla perfezione al suo
personaggio, che pian piano scivola verso una folle competizione con un'altra
ballerina fantomatica, in un viaggio allucinatorio che il regista non riesce
sempre a trattare in maniera dovuta, soprattutto bloccato sul prendere un
percorso deflagrante della trama, riuscendo a metà nella sua impresa
cinematografica. Nel fuori concorso invece si vede il ritorno di Robert Rodriguez
con Machete. Estensione del trailer apparso in Grindhouse,
l’operazione del regista messicano è quella di riproporre
un mondo connotato sullo scenario dei film di serie b con invenzioni
cinematografiche azzeccate e attori in forma, rendono piacevole questo
divertimento cinematografico. Se Miral
di Julian Schnabel passato
in concorso è uno scialbo e retorico reportage del conflitto tra palestinesi e
israeliani, che non dice niente di nuovo sul tema, Norwegian
wood di Tran Anh Hung è una rivisitazione romantica dei tormenti
adolescenziali con un tocco incantevole nel delineare i movimenti dell’animo,
nel solco del cinema melò espresso negli anni
sessanta in Giappone, che lascia un senso di malinconia sincero e commovente.
Primo film italiano in gara, La pecora nera, vede il debutto dietro la macchina
da presa dell’attore teatrale Ascanio Celestini, che
costruisce con attenta simmetria il mondo folle dei disagiati psichici, con soluzioni espressivi a tratti audaci per il nostro cinema
italiano, con forse una punta di presunzione nel maneggiare con accurato
formalismo alcune scene, che dimostrano la capacità di regia di Celestini e sicuramente
regala un’opera di sicuro fascino. Dalla Francia arriva Happy Few
di Antony Cordier, infelice
pellicola di due coppie di coniugi che si intrecciano
in rapporti sessuali al limite di un autolesionismo narrativo privo di svolte
interessanti, esplicitando temi e modi già espressi con altra qualità in
passato, che in questo contesto non dicono niente. Sofia Coppola presenta il
suo Somewhere
in competizione e descrive con il suo solito stile sospeso il mondo di un
attore prigione del suo universo, vuoto e vacuo nel suo insieme. La Coppola è
consapevole delle sue doti, ma il film non suggerisce strade diverse al
protagonista che come Lost in traslation
solo alla fine risorge a una nuova consapevolezza d’esistere.
Peccato che la formula non respiri di uno sguardo rigenerante e il suo cinema
s’immobilizza su scenari già percorsi. In reign of assassins ( fuori concorso ) di
Su Chao-Pin e John Woo, è
un omaggio al regista di A better Tomorrow a cui
verrà assegnato il Leone d’oro alla carriera è un esempio limpido del suo
miglior cinema. Questa guerra di sangue e sette, nasconde la volontà dei
personaggi di trovare una vita diversa anche tramite nuovi volti, dove
l’aspirazione personale è tramite vero e sincero per trovare un’identità
stabile e libera dai condizionamenti. Un wuxiapian
coinvolgente nel pieno spirito dell’occhio trasversale di Woo. Ritornando al concorso si è visto il film
russo Silent souls di Aleksei
Fedorchenko, che ci consegna un film calligrafico nel
descrivere al microscopio una comunità isolata nella sua prassi funeraria del
distacco, tra sentimenti passati e malinconie odierne. Limite della storia è una involuzione naturale, poiché l’autore è troppo
innamorato dei suoi personaggi per liberare la cinepresa in un discorso
universale sulla morte, nei suoi aspetti multeplici. Potiche di François Ozon,
invece è una commedia cattiva nel ribaltare gli stereotipi di classe, mettendo
alla berlina ogni consuetudine di sistema, coadiuvato da un cast in ottimamente
in forma. La
passione di Carlo Mazzacurati, parla di un
regista in crisi che per un caso sfortunato si ritrova a dover dirigere la
sacra rappresentazione del venerdì santo in un piccolo paese della Toscana.
Questa dolorosa trasferta, sarà l’occasione per liberarsi di un passato
asfittico e ritrovare ispirazioni e idee che gli ridaranno una possibilità di
riscatto. Commedia scanzonata di buon livello, nelle corde giuste di Mazzacurati. Non ci resta che attendere alcuni giorni per
vedere gli altri due film italiani in gara e nel scoprire sorprese inattese.
Voto
7 ½