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  18/05/2024 - 08:54

 

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Venezia 67
Doppio volto del festival
Prima puntata del reportage di Scanner sulla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica 2010
Al Lido di Venezia dal 1 al 11 settembre 2010

 




                     di Matteo Merli


Presentazione festival del Cinema 2010
Primo reportage di Scanner
Secondo reportage di Scanner
Premi festival del Cinema 2010


La Mostra del Cinema parte zoppicando con code interminabile al ritiro degli accrediti e un panorama che sembra assomigliare ad un cantiere che smembra i percorsi intorno al festival, rendendo poco agevole i passaggi e deturpando l’effetto scenico di questo palcoscenico esposto ai media del mondo. Ci auguriamo che almeno il prossimo anno si possa vedere la quasi conclusione del nuovo palazzo del cinema, con il ripristino della sua conseguente atmosfera gioiosa che si respira nei giorni della manifestazione. L’apertura di quest’anno aspetta a Black Swan del fresco leone d’oro dell’edizione scorsa, Darren Aronofsky, che si cimenta con un genere tutt’altro diverso: un thriller psicologico. Girato tutto sulle ottime spalle di Natalie Portman, aderente alla perfezione al suo personaggio, che pian piano scivola verso una folle competizione con un'altra ballerina fantomatica, in un viaggio allucinatorio che il regista non riesce sempre a trattare in maniera dovuta, soprattutto bloccato sul prendere un percorso deflagrante della trama, riuscendo a metà nella sua impresa cinematografica. Nel fuori concorso invece si vede il ritorno di Robert Rodriguez con Machete. Estensione del trailer apparso in Grindhouse, l’operazione del regista messicano è quella di riproporre un mondo connotato sullo scenario dei film di serie b con invenzioni cinematografiche azzeccate e attori in forma, rendono piacevole questo divertimento cinematografico. Se Miral di Julian Schnabel passato in concorso è uno scialbo e retorico reportage del conflitto tra palestinesi e israeliani, che non dice niente di nuovo sul tema, Norwegian wood di Tran Anh Hung è una rivisitazione romantica dei tormenti adolescenziali con un tocco incantevole nel delineare i movimenti dell’animo, nel solco del cinema melò espresso negli anni sessanta in Giappone, che lascia un senso di malinconia sincero e commovente. Primo film italiano in gara, La pecora nera, vede il debutto dietro la macchina da presa dell’attore teatrale Ascanio Celestini, che costruisce con attenta simmetria il mondo folle dei disagiati psichici, con soluzioni espressivi a tratti audaci per il nostro cinema italiano, con forse una punta di presunzione nel maneggiare con accurato formalismo alcune scene, che dimostrano la capacità di regia di Celestini e sicuramente regala un’opera di sicuro fascino. Dalla Francia arriva Happy Few di Antony Cordier, infelice pellicola di due coppie di coniugi che si intrecciano in rapporti sessuali al limite di un autolesionismo narrativo privo di svolte interessanti, esplicitando temi e modi già espressi con altra qualità in passato, che in questo contesto non dicono niente. Sofia Coppola presenta il suo Somewhere in competizione e descrive con il suo solito stile sospeso il mondo di un attore prigione del suo universo, vuoto e vacuo nel suo insieme. La Coppola è consapevole delle sue doti, ma il film non suggerisce strade diverse al protagonista che come Lost in traslation solo alla fine risorge a una nuova consapevolezza d’esistere. Peccato che la formula non respiri di uno sguardo rigenerante e il suo cinema s’immobilizza su scenari già percorsi. In reign of assassins ( fuori concorso ) di Su Chao-Pin e John Woo, è un omaggio al regista di A better Tomorrow a cui verrà assegnato il Leone d’oro alla carriera è un esempio limpido del suo miglior cinema. Questa guerra di sangue e sette, nasconde la volontà dei personaggi di trovare una vita diversa anche tramite nuovi volti, dove l’aspirazione personale è tramite vero e sincero per trovare un’identità stabile e libera dai condizionamenti. Un wuxiapian coinvolgente nel pieno spirito dell’occhio trasversale di Woo. Ritornando al concorso si è visto il film russo Silent souls di Aleksei Fedorchenko, che ci consegna un film calligrafico nel descrivere al microscopio una comunità isolata nella sua prassi funeraria del distacco, tra sentimenti passati e malinconie odierne. Limite della storia è una involuzione naturale, poiché l’autore è troppo innamorato dei suoi personaggi per liberare la cinepresa in un discorso universale sulla morte, nei suoi aspetti multeplici. Potiche di François Ozon, invece è una commedia cattiva nel ribaltare gli stereotipi di classe, mettendo alla berlina ogni consuetudine di sistema, coadiuvato da un cast in ottimamente in forma. La passione di Carlo Mazzacurati, parla di un regista in crisi che per un caso sfortunato si ritrova a dover dirigere la sacra rappresentazione del venerdì santo in un piccolo paese della Toscana. Questa dolorosa trasferta, sarà l’occasione per liberarsi di un passato asfittico e ritrovare ispirazioni e idee che gli ridaranno una possibilità di riscatto. Commedia scanzonata di buon livello, nelle corde giuste di Mazzacurati. Non ci resta che attendere alcuni giorni per vedere gli altri due film italiani in gara e nel scoprire sorprese inattese.

Voto 7 ½ 

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