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Venezia 67
Il cuore selvaggio del cinema
Seconda puntata del reportage di Scanner sulla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica 2010
Al Lido di Venezia dal 1 al 11 settembre 2010

 




                     di Matteo Merli


Presentazione festival del Cinema 2010
Primo reportage di Scanner
Secondo reportage di Scanner
Premi festival del Cinema 2010


Il concorso si anima con Meek’S Cutoff di Kelly Reichardt che debutta per la priva volta in un concorso ufficiale ad un festival di tale portata. Questo western spoglio, basato su alcuni pionieri alla ricerca di nuove terre da abitare, diventa il fulcro storico di uno sguardo proiettato non solo verso orizzonti inesplorati, ma anche aperto ad incontri conoscitivi, che di svelano lentamente le paure ancestrali che opprimono la mente dell’uomo e solo attraverso il contatto si scopre la possibilità di guardare al di là di ogni confine terriero. Bella prova d’autore, relegata sapientemente sui movimenti e i volti degli attori. Detective Dee and the mystery of phantom flame di Tsui Hark, costruisce un wuxiapian fiammeggiante, intorno alle morti misteriose di una serie di sudditi, che rischiano di ritardare l'incoronazione, nel 690 A.D., dell'Imperatrice Wu Zetian, la quale richiama il Detective Dee dall'esilio in cui lo aveva spedito otto anni prima. Se da una parte le coreografie di Summo Hung danno vertigine all’ipercinetica di Hark nel creare un passato intriso nei suoi giochi di potere e aperto al caos e dove solo la pace può arrivare accostandosi ai diritti legittimi, che il Detective Dee chiederà all’Imperatrice in un sussulto di coscienza che ha il respiro di un sacrificio etico. Uno spettacolo per gli occhi, che ci riconsegna il grande cinema del maestro Tsui Hark. Dal Cile piomba in gara Post mortem di Pablo Larrain, dopo il trionfo di Tony Manero. Mario lavora in un obitorio e il suo compito è scrivere i rapporti delle autopsie. Durante il colpo di stato cileno del 1973 la sua vicina di casa, ballerina di cabaret, scompare misteriosamente. Dopo un violento raid nella casa della ragazza, anche il padre e il fratello, convinti comunisti e sostenitori di Salvador Allende, vengono arrestati. Turbato da questa scomparsa, Mario decide così di mettersi alla ricerca della ragazza. Pellicola scabrosa, che ripropone i temi del precedente film, con il consueto incidere di Larrain su uno sfondo di degrado costituito da personaggi dalla dubbia moralità, non lascia sorprese se non un sonoro pugno allo stomaco. L’interesse storico rimane, ma la pregnanza visiva scema lentamente. Essential Killing di Jerzy Skolimowski è una pura operazione cinematografica, e vede il fisico di Vincent Gallo aderire ad un talebano in fuga, preda della paura e della violenza, in un delirio di sensi, che diventa lo specchio della nostra contemporaneità. Velleitario per molti, ma è una visione che lascia un segno nella sua specificità espressiva, senza presenza di dialoghi. Film a sorpresa è il cinese The Ditch di Wang Bing. Alla fine degli anni cinquanta, il governo cinese condanna ai campi di lavoro forzato migliaia di cittadini considerati critici contro il partito comunista o semplicemente a causa della loro provenienza sociale e famigliare. Deportati per essere rieducati in un campo nel cuore del deserto del Gobi, dovranno sopravvivere a dispetto di condizioni climatiche difficile in un assoluto stato di povertà. Opera dura e incessante nel riprodurre un clima quasi horror nell’assoluta dissoluzione che ogni corpo dovrà sottoporsi in quel fossato di sabbia. Nelle Giornate degli autori si segnalano le presenze forti di Incendies di Denis Villeneuve, vibrante viaggio alla ricerca di un passato sconosciuto in medio oriente e L’amore buio di Antonio Capuano, storie toccante di due adolescenti in una Napoli pulsante di contraddizioni. Mentre nel fuori concorso, si sono visti Vallanzasca – gli angeli del male di Michele Placido, che diventa il resoconto di un anima nera in un periodo pieno di contrasti nel nostro paese, non del tutto riuscito nell’insieme, ma comunque un buon noir; e I’m still here di Casey Affleck, documentario pregnante sul cambio di rotta di Joachim Phoenix, deciso a diventare un cantante rap: esperimento totalizzante, con momenti di lucida sincerità dilaniante. Ritornando al concorso, deludenti Promises Written in the Water di Vincent Gallo, chiuso in una autoreferenzialità ottusa e priva di vigore espressivo, Attenberg di Athina Rachel Tsangari, pellicola cervellotica e abile nel camuffarsi d’autore e Drei di Tom Tykwer, una dissertazione di costume sulle conseguenti dissoluzioni interna a coppie borghesi, priva di interesse. Noi credevamo di Mario Martone è un viaggio classico nei moti del risorgimento, ma il film non casca nella rivisitazione avventuristica dell’epoca, e diventa una riflessione chiara a livello espositivo della storia di un paese che non si è mai compiuto nel suo insieme. Lucido e diretto, come una epopea da rivedere con nuovi occhi vergini. In Balada triste de trompeta di Alex de la Iglesia siamo nella Spagna del 1937, durante la Guerra civile. Due clown da circo, Javier e Sergio, sono innamorati della stessa donna, una ballerina. All'improvviso vengono entrambi forzatamente arruolati dalla milizia. Film modulato su diversi registri di genere che conferma il talento di de la Iglesia nel portare alle estreme conseguenze il germe della vendetta, come elemento indissolubile per raccontare un epoca buia e senza speranza, e consegnandoci un capolavoro scenico. Interessanti: Barney's Version di Richard J. Lewis, riduzione tra lacrime e risate del romanzo di Richler; Road to Nowhere di Monte Hellman, noir metafisico che rimanda al cinema: non del tutto nuovo nei suoi rimandi narrativi; 13 Assassins di Takashi Miike, incursione goliardica in un remake di una pellicola storica del cinema giapponese, che si apprezza per le idee sbeffeggianti del regista di The audition. Deludente Venus Noire di Abdellatif Kechiche, basato sulla vita di Saartjie che lasciava l'Africa del Sud con il suo padrone, Caezar, per andare ad offrire il suo corpo in pasto al pubblico londinese delle fiere e negli zoo umani nell’ottocento. Se la scena è chiusa sulle sevizie e il corpo offeso della donna africana, diventando ripetitive e scioccanti per avvallarne una condanna fiera ed etica, dall’altra imprigiona l’opera in una forzuta di sguardo: manifesto di una istanza d’impegno adatta semmai ad una riproposizione in chiave documentaristica. L’ultimo film italiano in concorso è La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Giordano, racconta in diverse fasi le vite di Mattia e Alice parallelamente, senza mai riuscire a congiungersi. Due infanzie difficili, compromesse da un avvenimento terribile che segnerà le fragili esistenze dei protagonisti fino alla maturità. Dramma di sentimenti, estesa ad un respiro quasi orrori fico che attanaglia i protagonisti, non sempre riuscito nella forma, comunque audace nella sua ricerca visiva. Un passo intermedio per Costanzo: rimandato al prossimo film. Orizzonti ci ha consegnato opere forti come il nuovo documentario El sicario room 164, di Gianfranco Rosi, basato su una vita di un killer: teso e asfittico; Tsumetai nettaigyo (Cold fish), di Sion Sono, deflagrante opera di inusitato fascino, di un autore in perenne ascesa. Ora siamo vicino alla premiazione finale che vede in pole position Somewhere e Black Swan, ma questi sono pronostici dettati dai giornali e con una presidente della giuria come Quentin Tarantino, le sorprese sono dietro l’angolo.

Voto 7 

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