4° reportage da Venezia, 2006: bilancio
3° reportage da Venezia, 2006
2° reportage da Venezia, 2006
1° reportage da Venezia, 2006
Questa edizione del festival del
cinema di Venezia ha messo in evidenza la mancanza
del cinema medio di buona fattura relegato soltanto in pochi titoli e la
delusione di alcuni autori, ripiegati su esercizi di stili. In fondo la Mostra ha il
compito di essere un contenitore di forme e contenuti e alla luce di questi
aspetti, la giornata dedicata al Leone d'oro assegnato quest'anno a David Lynch, è risultato uno dei momenti più belli della
manifestazione. Inland Empire è la storia di una attrice (splendida Laura Dern)
che alle prese con il set di un nuovo film, scinde attraverso lo specchio dei suoi sogni la
realtà con la parte oscura di noi stessi, in un viaggio senza soluzioni di continuità che diventa stimolo all'innamoramento come conquista di se stessi e della vita. Capolavoro inusitato che ci riconcilia con il cinema ed evento di portata mondiale. Il concorso ha visto passare i due film italiani, La stella che non c'è di Gianni Amelio e Nuovo mondo di Emanuele Crialese.
L'operazione di Amelio è relegata al viaggio del
manutentore Sergio Castellito nelle
regioni della Cina per consegnare un pezzo della fornace acquistata da compratori del luogo. Il suo sarà un percorso atto a riscoprire se stesso e a comprendere l'altro, in un'osmosi di senso speculare alla sofferenza di un
vissuto difficile. Crialese ci trasporta nelle vicissitudini di immigrati siciliani decisi ad
arrivare nel nuovo mondo: l'america. Un viaggio di stenti che nasce nella consapevolezza di una speranza concreta, disponibile verso i loro bisogni, ma irta di difficoltà burocratiche. Opera
costruita spesso e volentieri con una estatica
propensione al compiacimento. Quei Loro incontri di Straub e Huillet, dimostrano
l'autarchia di un cinema estremo e poco disposta a dialogare con il pubblico.
Imbarazzante Ejforija del regista russo Ivan
Vyrypaev, alla sua opera prima, imbastendo una
serie impressionante di situazioni simboliche
attraverso un cinema smaccatamente pretenzioso al limite della sopportabilità.
L'intouchable Di Benoit Jacquot è superfluo nella sua messa in scena, povera di
contenuti; mentre buona impressione ci ha destato Nue propriété di Joachim Lafosse, con al centro il
rapporto tra una madre divorziata e i suoi due figli maggiorenni, in un confronto serrato che libera una rabbia sopita: dimostrazione di una
irresponsabilità congiunta e dalla incapacità di ognuno di ristabilire i propri
ruoli d'appartenenza. Pellicola dura e incisiva. Chiudendo con il cinema orientale, non si poteva non
menzionare Fangzhu di Johnnie
To, con una rielaborazione degli spaghetti western nel trattare l'amicizia di quattro killer,
pieno di furore e lancinante sentimento, costruendo un film nel suo stile di
lucente bellezza.
Sanxia haoren di Jia Zhang-Ke, film a sorpresa
del concorso, racconta del ritorno di un uomo al villaggio di
Fengjie alla ricerca di sua moglie, ma scoprendo che
è sommerso dall'acqua a causa di una diga di nuova costruzione, si mette alla
sua ricerca; mentre una donna arriva nello stesso
luogo per divorziare da suo marito che non vede da parecchi anni. Storia piena
di disillusione, servita da una messa in scena volta a scoprire le crepe di un
paesaggio in mutamento come gli animi solitari dei protagonisti, attraverso
alcuni istanti ammalianti in un digitale di buona resa. Nella settimana della
critica si è imposto A guide
to recognizing your saints di Dito Montiel, con una storia biografica tra riconciliazioni
e sguardo ad un'infanzia non facile nel Queens a New York, di buona fattura. Nella sezione Orizzonti doc, Tachiguishi Retsuden di Mamoru
Oshii, è troppo poco intelligibile nel suo
incidere tra le storie dei maestri del Fast Food con una nuova tecnica di animazione basata su sagome bidimensionali, simulando una
specie di teatro delle marionette, in una incomprensione di senso relegata al
piacere dei soli spettatori giapponesi. Sempre nella sezione Orizzonti,
interessante il racconto di formazione del malesiano Taiyang yu di Ho
Yuhang, nelle corde espressive minimali esposte al
vuoto pneumatico di una vita difficile, tra delusioni e rapporti difficili con
i parenti. Sempre nel concorso, è apparso il nuovo film di Otomo Katsuhiro con Mushishi,
divagazione fantasy penetrante nel mondo fantastico
degli spirti incorporei, ma indisposta ad un profondo incidere narrativo, crogiolandosi in una esposizione
certe volte manierata. I nomi dei possibili vincitori sono espressi nella
cerchia dei film dei seguenti registi: Amelio, Resnais e Frears, il nostro
giudizio invece è posto verso altri autori, quali:
Apichatpong Weerasethakul, Kon Satoshi, Paul Verhoeven, Johnnie
To, e della
sorpresa del festival: Bobby di Emilio
Estevez. Nel prossimo resoconto analizzeremo i temi
salienti di questo festival e commenteremo i premi assegnati da questa giuria.
Voto
8 ½