L'importanza di chiamarsi Ernest
Regia di Oliver Parker
Cast: Colin Firth, Rupert Everett, Frances O'Connor, Reese Witherspoon, Judi Dench; commedia; Gran Bret./Usa; 2002; C.
Dall'omonima commedia di Oscar Wilde
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Un marito ideale
L'importanza di chiamarsi Ernest
La
fonte letteraria del terzo film di
Oliver Parker è una garanzia assoluta del calibro de L’importanza di
chiamarsi Ernesto, ovvero l’opera più frizzante della limitata produzione
drammatica di Oscar Wilde, una tetralogia comprendente anche Un marito ideale,
Il ventaglio di Lady Windermere e Salomé. Il regista, Oliver
Parker, è inoltre un esperto di traslazioni dal teatro al cinema, avendo
esordito con Othello nel 1995 ed avendo già adattato con successo sul
grande schermo un’altra commedia wildiana nel 1999, per l’appunto Un marito ideale.
Ciò premesso, e considerando la qualità del cast reclutato per L’importanza
di chiamarsi Ernest, era praticamente impossibile ‘sbagliare’ un film come
questo che, se non non brilla per invenzioni registiche, è sorretto da un
notevole ritmo fin dalle prime sequenze, presenta una serie di battute
assolutamente strepitose, è dotato di un’accurata scenografia e di costumi
assolutamente perfetti. Una mise en scène impeccabile, dunque, ma
veniamo alla trama: John Worthing, gentiluomo di campagna d’ignote origini –
ritrovato in fasce dentro ad una borsa da viaggio in un deposito di bagagli a
Victoria Station –, si è costruito la fittizia identità dello scapestrato
fratello Earnest per recarsi a Londra ogni volta che lo desidera. Con l’aiuto
dell’amico Algernon
Moncrieff, detto Algy – e pure dotato di un inesistente amico di campagna,
Boombury, perennemente a rischio di morte –, riesce ad incontrare e dichiararsi
alla di lui cugina Lady Gwendolen Fairfax, felicemente ricambiato dalla bella
fanciulla nonostante la ferma opposizione della madre, l’arguta Lady Bracknell,
affatto interessata ad imparentarsi con una borsa da viaggio (“Perdere un
genitore è una tragedia, perderli entrambi un’imperdonabile sbadataggine”). Nel
frattempo Algy si reca nella magione di campagna dell’amico presentandosi come
l’irresponsabile Earnest, allo scopo di far breccia nel cuore dell’avvenente Cecily,
la giovane (e ricca) pupilla di John. Curiosamente sia Gwendolen che Cecily
risultano irresistibilmente attratte dai rispettivi spasimanti in primo luogo
perché si chiamano Earnest, che in inglese (gioco linguistico intraducibile in
italiano) oltre ad essere un nome proprio equivale anche a “serio”, “onesto”.
La circostanza della contemporanea presenza di John, Algy, Gwendolen e Cecily
nella villa di campagna innescherà un’esilarante commedia degli equivoci,
risolta con un calibrato colpo di scena finale. Gran parte dell’efficacia de L’importanza
di chiamarsi Ernest è dovuta alla briosa sagacia del testo wildiano, le cui
battute risultano spesso spiazzanti aforismi volti a denunciare l’ipocrisia
della società vittoriana, un mondo di apparenza che il drammaturgo inglese
smaschera sviscerando a trecentosessanta gradi la tematica del doppio.
Ammiccante lo scioglimento della dinamica narrativa: nonostante Jack/Earnest di
fatto abbia mentito intenzionalmente per tutta la storia, per caso e
inconsapevolmente avrà detto tutta la verità fin dall’inizio. Nell’ottimo cast
brilla una superlativa Judi
Dench. Dopo aver consigliato di non tralasciare la visione dei titoli di coda, non resta che augurarsi che Oliver Parker decida
di esaurire la serie wildiana...
L'importanza
di chiamarsi Ernest - The importance of being Earnest, regia di Oliver Parker,
con Colin Firth, Rupert Everett, Frances O'Connor, Reese
Witherspoon, Judi Dench;
commedia; Gran Bret./Usa; 2002; C. dur. 1h e 37’
Voto
7½
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