Brand new day
...all this time
Aveva avuto un’ottima idea Gordon Matthew Sumner in arte Sting,
cantautore britannico trapiantato nel Chiantishire come molti compatrioti:
registrare un live nella
sua villa Il Palagio, in Toscana, supportato da una band d’eccezione
e davanti a duecento invitati scelti tra amici, colleghi, critici e fans.
L’album, il secondo dal vivo dopo il doppio Bring on the
night del 1986, avrebbe dovuto
intitolarsi (pare) ...on such a night
e riepilogare le principali tappe della carriera di Sting, ormai cinquantenne, con
nuovi arrangiamenti. La sorte ha però voluto il disco fosse registrato in parte
nella serata dell’11 settembre 2001, in parte durante le prove generali della
sera precedente: alla fine il risultato è diventato ...all
this time, rispettosamente dedicato alle vittime
dell’attentato alle Twin Towers, in cui Sting ha perso alcuni amici, e
chiaramente dalla scaletta del concerto hanno finito per essere escluse le
canzoni più allegre e briose – perché anche il noto adagio “the show must go
on” ha i suoi limiti, e l’11 settembre rientrava decisamente nella categoria –.
Questo live presenta dunque due
immediati livelli di lettura: l’onda emozionale, che tocca il vertice in
apertura con la splendida Fragile (tristemente adatta al contesto), e la
capacità di rielaborazione musicale, in quanto quasi tutti i brani sono
riproposti con nuovi arrangiamenti, nel complesso molto originali e spesso di
sapore unplugged. Le sedici tracce
di ...all this time
confermano quanto di buono già si sapeva sul talento di Sting come interprete,
compositore e strumentista: ribadita anche l’apertura world che marcava l’ultimo album Brand new day, come pure l’amore incondizionato del
cantautore di Newcastle per il jazz,
lo swing e la musica classica.
Dopo l’apripista segue un’interpretazione minimalista e molto toccante di A
thousand years, stemperata previo medley nel
soffuso jazz di Perfect love...
gone wrong (occasione per le classiche improvvisazioni sul tema consone al
genere). La quarta traccia proposta è All this time, ravvivata e filtrata
attraverso la lente del soul,
subito capovolta dalle splendide The hounds of winter e Mad about you.
Il primo classico dei Police rispolverato da Sting è Don’t stand so close to me,
brano delicatissimo, molto più soft
rispetto all’originale del 1980 e meno elettronico della versione registrata
nel 1986 per la prima antologia della mitica band,
già sciolta: a ruota seguono When we dance (sostanzialmente identico al
brano di studio) e le malinconie jazzate di Dienda, ballata inedita del
compianto tastierista Kenny Kirkland. Notevole la rivisitazione musicale di Roxanne,
il primo successo targato Police – anno di grazia 1978 –, che diventa quasi una
tavolozza che Sting arricchisce con le
variazioni sui generi prediletti durante la carriera solista. Il soul la fa da protagonista anche nell’interpretazione live del primo hit centrato
da Sting nel 1985 con l’album di debutto, ovvero (If you love someone) Set
them free (notare il lieve cambiamento del titolo e lo scatenato crescendo
finale): il primo classico di Sting prelude
all’ultimo della serie, Brand new day, ripresentato in una versione che
mantiene l’impianto soul dell’originale
che progressivamente si contamina con il rhythm’n’blues
e lo swing.
Il notevole dittico di marca soul è poi variato dalle ballate
Fields of gold, priva di variazioni di sorta, e dall’elegante Moon over Bourbon
Street, molto più jazz rispetto al pezzo registrato in The dream
of the blue turtles. Gran finale con If I ever lose my faith in
you e la storica Every breath you take, parata d’onore per gli
ottimi musici convenuti al concerto di ...all this time, un live
che purtroppo resterà indimenticabile non solo per comprovati meriti artistici.
Sting, ...all this time [A&M 2001]
Voto
8