Fa
un po’ impressione pensare che i Noir Désir
abbiano dovuto attendere una vita artistica (oltre vent’anni) prima di
approdare in Italia, ma queste sono purtroppo le perverse logiche del mercato
discografico transnazionale. La band capitanata
da Bertrand Cantat è nata a Bordeaux nel lontano 1980 e, dopo molta
gavetta, nel 1989 è riuscita ad incidere il primo album (Veuillez rendre
l’aime a qui elle appartient) dei sei complessivi finora pubblicati:
l’ultimo nell’ordine è proprio Des visages des figures, uscito in
patria nel giorno più tragico immaginabile (l’11 settembre del 2001)
ed è arrivato in Italia solo quest’anno, preannunciato dal un incredibile
successo di pubblico e critica e dal formidabile singolo di lancio, Le vent
nous portera, illuminato dalla chitarra discreta ma inconfondibile della guest
de luxe Manu Chao,
marcato da un refrain contagioso ed accattivante, ravvivato da
divagazioni jazz in serie e da un testo a dir poco meraviglioso. Ma Le
vent nous portera è soltanto l’apice dell’articolato ed impeccabile mosaico
sonoro costituito dall’album nel suo complesso: dodici tracce che si dipanano
tra generi diversi (punk, folk, etno) nell’ambito di una ragnatela musicale dichiaratamente (e
fieramente) rock, foriera di messaggi e di poesia. L’apertura è affidata
all’ipnotico giro di basso che contraddistingue L’enfant roi, un brano
tirato, vagamente hip hop e marcato da un’atmosfera ombrosa e di alta
presa emotiva. Anche la traccia successiva, la tesissima Le grand incendie,
si dipana in un’ottica che contamina con gusto rock filologicamente
corretto ed hip hop, con un basso ugualmente contagioso ed un’armonica
da brividi. De Le vent nous portera si è detto: procedendo lungo la tracklist
subito dopo arriva un pezzo minimalista e dalla struttura composita come la
suggestiva Des armes, davvero uno sparo nel buio. A ruota i Noir Désir cambiano ancora
registro (ma non atmosfera, privilegiatamente ombrosa in tutto l’album passando
agli squarci introspettivi de L’apartement. Subito dopo arriva anche la title
track, una rock ballad atipica che si dilata in felice progressione.
La seconda parte dell’album presenta quasi una dichiarazione d’intenti della
musica della band transalpina
, volumente strutturata in
due parti distinte ed agli antipodi: le bocche da fuoco
punk rock di
Son
style 1 seguite ad un dipresso dalle atmosfere rarefatte di
Son style 2.
Des
visages des figures ha ancora cartucce da sparare nel finale:
alternando come perle in una collana prima una ballata a pronta presa come
A
l’envers à l’endroit, quindi il notevole
mèlange anglo-francese di
Lost
in cui ad ogni trapasso linguistico corrisponde un azzeccato cambio di ritmo,
poi la splendida chitarra acustica che contraddistingue
Bouquet de nerfs ed
infine
L’Europe, l’ipertrofico (ed epico) manifesto programmatico che i
Noir Désir hanno scelto per chiudere il loro
viaggio, almeno per stavolta.
Un mosaico
sonoro che accorpa in modo liricamente impeccabile musica e parole.
Noir Désir, Des visages des figures [Carosello 2002]
Voto
8