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  20/04/2024 - 13:16

 

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Scanner - musica
 


Manu Chao
Proxima estacion: Esperanza
[Virgin 2001]

 




                     di Paolo Boschi


Clandestino
Proxima estacion: Esperanza


Nessuno avrebbe scommesso sul sorprendente successo di vendite di Clandestino (tre milioni di copie tra Francia e resto del mondo), esordio solista di Manu Chao, ex leader dei Mano Negra: un album esploso a botto retroattivo, a 1999 inoltrato, ovvero un anno dopo la pubblicazione, in virtù della febbre latina innescata da Ry Cooder e dai vecchi leoni del Buena Vista Social Club, come pure grazie alla più efficace e sommersa delle promozioni discografiche, quel passaparola che non manca di attivarsi quando sulla scena arriva musica nuova, alternativa, di nicchia, d'autore, in una parola bella e priva di sponsors ufficiali. Ai tempi di Clandestino Manu Chao aveva già registrato molto del materiale che è poi confluito nella sua seconda prova solista, Proxima estacion: Esperanza: l'artista franco-spagnolo, che non resta mai fermo per più di un paio di settimane nello stesso posto, è infatti uso a viaggiare con uno studio di registrazione portatile col quale cattura ogni intuizione sonora nell'attimo in cui viene alla luce. L'ultimo lavoro del nostro è l'ennesima applicazione pratica della patchanka (già titolo di un noto brano dei Mano Negra), grimaldello musicale utile a diffondere nel mondo messaggi (politici, ideologici, umani, sentimentali) avvalendosi del motore della festa, a giudizio di Manu Chao simbolo privilegiato di ribellione: un esperanto acustico all'insegna della gioia di vivere, un crossover alternativo in curiosa (ma coerente) antitesi con l'imperante globalizzazione. E non a caso il punto di riferimento dell'album è il mondo: vi troviamo canzoni in francese, inglese, arabo, spagnolo, portoghese e portunõl (lingua di frontiera che miscela le ultime due citate), mentre il costante sottofondo che ci accompagna a spasso per le diciassette tracce di Proxima estacion: Esperanza è una successione apparentemente infinita di inserti radiofonici parlati (da Radio Bemba, of course), tentativi di preludi che anticipano il ritmo del brano a seguire, musichette da videogame pre-era digitale, oltre al marchio di fabbrica (musicale) di Manu, quella The king of bongo arrivata fin qua dai Mano Negra dopo aver attraversato Clandestino. L'avvio del disco è affidato ad un morbido reggae che però s'intitola Merry Blues, e va fondersi con le successive Bixo ed Eldorado 1997. Poi un divertissement di sapore vagamente ska (Promiscuity) prelude alla breve La primavera che, quasi senza soluzione di continuità, ci porta al singolo Me gustas tu, formato da una contagiosa lista spagnola di cose che a Manu (e tanti altri) piacciono, lista interrotta da un malinconico refrain francofono. A ruota segue Denia, dedicata all'Algeria e nella quale Manu Chao duetta con il cantante marocchino Mostafa El Hafer: nella canzone probabilmente più bella ed intensa dell'album la malinconia si taglia col coltello e, che ci crediate o no, diffonde come 'odore' acustico una strana miscela tra Messico e vagamente country. Protagonista di Mi vida è invece un ipnotico accordo di basso che ci fa scivolare verso una terra di nessuno spersa da qualche parte nei Settanta: non a caso Manu Chao a ruota ha inserito Trapped by love, reggae più mosso dell'apripista, più contagioso e, soprattutto, più intrigante sotto il versante contaminazionistico (in direzione jazz, addirittura), brano che dall'inglese, senza cambiare sottofondo, passa al francese nella successiva Le rendez vous - al punto che nel complesso ne risulta l'ibrido musicale più godibile del disco -. Si resta nel reggae, ma si smorza il ritmo, nella seguente Mr. Bobby, un appassionato omaggio del buon Manu al nume tutelare Bob Marley, in riuscita fusion con la sua canzone-simbolo dai Mano Negra a Clandestino (ovviamente a The king of bongo). A ruota, con Papito, Manu Chao passa ad un merengue aprendo una sezione di marca latinoamericana che cala di ritmo con La chinita e risale ne La marea: tutte e tre latrici di un sapore indefinito tra Messico, Caraibi e cordigliera delle Ande. Homens è in pratica la versione portoghese di Bongo bong, che Manu continua ad utilizzare in infinite varianti come una sorta di inconfondibile biglietto da visita: se ne serve anche ne La vaca loca e nella conclusiva Infinita tristeza, dove il marchio di fabbrica in questione pare aprirsi al sound dei gloriosi Inti-Illimani, restando assolutamente in primo piano tra inserti di voci varie e diversi spezzoni radiofonici. Un gran bel disco, che approfondisce e puntualizza il discorso avviato in Clandestino, risultando ugualmente contagioso: non si può che consigliarne ascolti ripetuti ad libitum.

Manu Chao, Proxima estacion: Esperanza [Virgin 2001]

Voto 7 

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