Moby: 18, 2002
Moby: Play, 1999
A distanza di un anno dalla sua uscita ho finalmente 'capito' questo ultimo album di Moby, Play. E per capirlo ho dovuto arrendermi all'evidenza di un successo che, anche qui in Italia, ha raggiunto i vertici delle classifiche.
Moby è un personaggio strano, molto particolare ed eclettico. Tanto da essere il primo uomo sullo spazio-techno (prima di lui si conosceva il brano, non l'autoresecutore). Ma dopo la techno il nostro si è lanciato verso generi di più ampio respiro (ambient elettronica, contaminazioni punk e metal) confermando sempre di essere un fuoriclasse. Lo scorso anno Play era presentato come un disco caratterizzato dalla prima volta dal blues inserito nell'elettronica. In effetti, il pronipote di Melville (l'autore di Moby Dick, cui è dedicato lo pseudomino di Moby) ha campionato alcuni classici del blues rurale appalachiano, connotando così alcuni dei brani del disco: Honey, Find my baby, Natural blues...... Ma, al di là di questo, l'albun suonava 'strano', con un utilizzo di suoni (in particolare, tastiere e pianoforte) terribilmente 'pop'! Ed ecco il punto: Play è forse il primo disco che riesce ad essere UNIVERSALE, abbastanza facile da cogliere il successo mondiale, ma al tempo stesso denso di atmosfere di classe che si pongono molto sopra allo standard 'commerciale'.
Porcelain, Why does my heart feel so bad?, Run on, If things were perfect che convivono con tracce 'di passaggio' come 7, Down slow, Inside a rievocare il 'taglio' del passato recente. Con una bravura tale da risultare irritante.
Voto
8