Bring it on
Liquid skin
In our gun
I
cinque Gomez tornano con un nuovo album ad appena un anno dall'esordio, davvero
convincente, con Bring
it on. La formula è invariata rispetto al passato: d'altra parte
che motivo avrebbe avuto la poliedrica band
di Southport per cambiare
un sound unico ed originale come il
proprio, un vero, irripetibile marchio di fabbrica? Perché, nonostante il
gruppo sia divenuto più noto ed apprezzato, la prima impressione che la loro
musica continua ad offrire è che si tratti a tutti gli effetti di una band d'oltreoceano, e di quelle 'buone'
per giunta. I Gomez tessono una
ragnatela arrichita dagli apporti estemporanei di tutti i generi tipici degli
Stati Uniti: dosi
generose di blues da una parte,
di country, soul e rhythm'n'blues
dall'altra, il tutto condito con un pizzico di tex mex, divagazioni jazz e
sprazzi di funky – vi pare
impossibile? Ascoltare per credere –. Un disegno armonico complesso ed
arricchito oltre misura, che risulta 'pieno' e corposo anche nei momenti
intimistici, che sono non pochi in questa recentissima 'pelle liquida' – perché
attendersi qualcosa di diverso da un titolo virtualmente impossibile da un gruppo inglese di nascita ma americano per
estrazione sonora? –. In Liquid skin si succedono quattordici
brani all'insegna di una generalizzata varietà, equamente divisi tra canzoni di
pensosa contemplazione sentimentale e pezzi più tesi ed energici. Il bello è
che non c'è uno solo per cui sia semplice trovare un immediato riferimento a
livello di genere o di autore: dall'ottimo apripista Hangover fino al conclusivo Devil
will ride tutto stupisce per felicità d'invenzione musicale, sia dal punto
di vista dei testi sia per quanto riguarda le musiche. Ogni tanto si può
tracciare a pelle un richiamo, pur approssimativo: ad esempio Fill my cup ricorda certe ombrose
sperimentazioni lennoniane nell'ultimo periodo con i Beatles. Sorprendono
molto spesso gli attacchi dei brani, sempre ‘strani’, ma perfetti: basti
pensare a quello decisamente inusuale che apre Rhythm & blues alibi, che poi si sviluppa come ballata
malinconica arricchita da momenti (quasi) rock.
E, come nell'album d'esordio, ogni tanto arrivano dal nulla anche brani con una
tessitura armonica attraverso i quali il gruppo di Southport strizza
l'occhio a sonorità
latinoamericane, come in Rosalita
o nel refrain tex mex di California – in tal senso è impossibile
dimenticare in Bring it on l’originalissimo singolo che lanciò i Gomez: 78 Stone Wobble –. Un album da ascoltare e riascoltare all'infinito
perché, come si può immaginare, un simile sforzo di varietà si apprezza col
succedersi degli ascolti plurimi, vivamente consigliati.
Gomez, Liquid skin [Hut 1999]
Voto
7½