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  20/04/2024 - 10:15

 

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Scanner - musica
 


Coldplay
A rush of blood to the head
Sogni interstellari
EMI, Parlophone [2002]

 




                     di Francesco Rossi


Viva la Vida or Death All His Friends, 2008
A rush of blood to the head
Coldplay, A rush of blood to the head, EMI Parlophone, 2002
Coldplay, Parachutes, EMI Parlophone, 2000


Immagina un cielo nero stellato che prende a 360° il tuo sguardo da una collina, tu sdraiato mano nella mano con l'amore della tua vita, un'occhiata alle stelle sopra e una alle due accanto: il sogno di molti e sicuramente quello di renderne la magia dell'istante in musica, canzoni pop, precisamente, per i Coldplay, paladini romantici del 2002. E se amore perfetto, assoluto, eterno è, canzone perfetta, assoluta ed eterna deve essere. Ambiziosi, certo, ma anche con le potenzialità ed i numeri per cui sono arrivati dove altre mille giovani band simili, sognano solo e poter tentarci: stile, equilibrio, una voce che, emozionata, emoziona anch'essa, passa l'epidermide, ma soprattutto il talento di saper scrivere grandi canzoni, magari classiche, facilmente accusabili di ricordare questi o quelli, pure un po' ruffiane nell'istillarti quella vena indolente e dolcemente malinconica, però spesso con una caratteristica imprescindibile per aspirare all'olimpo delle canzoni perfette: il riuscire a entrarti in testa, a sedimentartisi dentro e a quasi fartene sentire la mancanza, la necessità fisica, quando lo stereo è spento, davanti al computer come alla cassa del supermercato, insomma quando fai tutt'altro. Ecco allora arrivare il candido germe Coldplay e insinuarsi, come il caldo ricordo di casa o dell'abbraccio dell'amata, quando sei fuori, per le strade del mondo.

Non rappresentano certo tutti gli scenari del nuovo mondo musicale rock britannico, e forse questo è il loro limite maggiore: indugiare in queste atmosfere languide e trasognate fin troppo forse, non tentando alcun approccio, oltre che alla sperimentazione pura, al lato solare, fisico o ancora incazzato delle sette note, a provar a farti muovere il piedino una volta, ispirar un sorrisino di gioia o ancora un sano urlo di sfogo un'altra. Manco a pregarli, niente adrenalina, solo germi per il dolce sconquasso dell'anima.

Fatto sta che di germi implacabili questo, seppur moderato e compito, gran bel disco ne conserva parecchi, dalla conosciuta In My Place, alla più stranita God Put A Smile On Your Face ma che s'apre improvvisa e trascinante nel ritornello, ai voli interstellari della ammagliante Clocks, A Whisper, Daylight, talvolta tornando con i piedi per terra, ma solo per cantare, chitarra e voce, davanti al camino di casa, ai Green Eyes che tu sai, e risalendo alle galassie subito dopo con le spirali psichedeliche di A Rush Of Blood To The Head. Fino forse al vero capolavoro del disco, The Scientist, love song universale, semplice e disarmante come la Jealous Guy di John Lennon, che da subito ti catapulta su quella collina, sdraiato, a fissare il cielo stellato sopra e sognare di ritrovarlo accanto a te, quando riaprirai gli occhi.

Voto 7 + 

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