Burn to shine
Diamonds on the inside
Give ‘till it’s gone
Per ammissione dello stesso Ben Harper la sua musica è difficile da stringere in una sola definizione. Ed è realmente così: il sound dell'eclettico artista americano ha come riferimento fisso la black music, continuamente riletta (o, meglio, rivista) in base alle esigenze del momento ed a quanto gli detta la sua verve creativa. Burn to shine interrompe un silenzio di due anni - The will to live uscì nel 1997 - che certo sarà sembrato interminabile alla folta schiera dei suoi estimatori, la cui maggioranza ha residenza proprio nel vecchio continente. E non si tratta del vecchio luogo comune per cui nemo propheta in patria: Ben Harper esprime emozioni di rara intensità musicale, operando come funzionale filtro di rinnovamento verso gli induscussi maestri della musica nera. E' quanto non ha smesso di fare dal significativo debutto con Welcome to the cruel world nel 1994, ripetendosi l'anno successivo con Fight for your mind, a tutt'ora il suo disco più 'teso'. La sua musica è cultura sonora a tutti gli effetti, meno carica di glamour rispetto a Prince (The Artist, please), egualmente poliedrica in confronto a quella di Lenny Kravitz ma (molto) più spontanea - e decisamente meno commerciale -: istintivi modelli di riferimento John Lennon, Jimi Hendrix e i Led Zeppelin. Burn to shine, realizzato con l'apporto sempre valido degli Innocent Criminals - Juan Nelson (basso), Dean Butterworth (batteria) e David Leach (percussioni) -, continua l'ennesimo itinerario di viaggio del cantante e chitarrista americano, concentrandosi stavolta in direzione più marcatamente intimista. La gran parte dei dodici brani sono suggestive ballate, talora d'insostenibile delicatezza - vedi l'ombroso apripista Alone, le splendide The woman in you e Tho hands of a prayer, o infine In the Lord's arms, che potrebbe passare per un pezzo di Cat Stevens -. La parte più solare (e sperimentale) dell'album è la centrale, quando Ben Harper sceglie di alzare decisamente il ritmo: ne nasce una progressione da urlo che parte dal banjo sporco di Suzie blue, passa per il ridente country blues di Steal my kisses, quindi per il serrato rock della title track, per arrivare al soul molto old style della bellissima Show me a little shame. E Ben Harper non si fermerà certo qui...
Ben Harper, Burn to shine [Virgin 1999]
Voto
8