10,000hz Legend - 2001
Moon safari - 1999
Eccolo il "Nouvel Beat". Ritorniamo
sui nostri passi per tutti coloro che si erano persi le puntate precedenti di una soap
opera le cui ambientazioni potrebbero ricordare da vicino quei vecchi sceneggiati fine
anni '60 in cui si immaginava un futuro lontano fatto di ambienti bianchi, poltrone come
bicchieri da cognac su morbidi strati di moquette, con padrone di casa sinuose, algide
protagoniste vestite di Courrèges dalle chiome sapientemente cotonate, lunghissime ciglia
finte e fattezze che andavano inequivocabilmente a ricordare Margaret Lee. Questa
recensione è per voi, ritardatari… Per voi che oggi, alla luce di "Kelly Watch
The Stars" (omaggio alla più stylish delle Charlie's Angels, supportato da un video
a dir poco perfetto) vi siete lasciati sedurre dai due ironici spacemen gallici, in
un'ebbra caduta libera che vi trascina più in là, sulle rive del Nuovo Suono Nostalgico,
lontano dagli isterismi grevi di hip-hop italiota, "punk" per adolescenti
impasticcati ed esperimenti da Doktor Frankensein con grumi di fisarmoniche da sagra
paesana a opera di furbi pseudo freakettoni ed echi di Sonic Youth all'amatriciana da far
accapponare la pelle. "Moon
Safari" è il trip letargico di chi non si rassegna alle orde da classifica;
nelle sue spire morbide potreste perdervi, in un gioco di citazioni e rimandi d'autore:
come se Burt Bacharch si rifacesse il make up in vista di un repechage in qualche trendy
club d'Albione e Jean Michel Jarre smettesse gli abiti intellettuali per infilarsi un bel
tonic suit e lanciarsi in un lounge party con Francis Lai. Solare, con spruzzi di
selzvocoder in un astrococktail
per gli swingers del nuovo millennio, è
la colonna sonora perfetta per notti retroglamour senza fine: pastorali space funk, i
Kraftwerk affogati nello sciroppo alle fragole, versi soffiati che danno alla testa e
rendono euforici, il mondo visto attraverso il vetro di una coppa di champagne frizzante
di bollicine… Gli aggettivi e le etichette si sprecano: post-dub, synthvintage,
newexotica: Jean Benoit e Nicholas trasformano i
loro sogni pacifisti di futuri migliori, le loro meditazioni di un pianeta di
tranquillità in perfette armonie spirituali e sofisticate per un cocktail fatto ad arte
shakerando moog e sequencer, per un sound retrofuturistico in cui strutture classiche (i
fratelli Wilson post-surf, John Barry, Piero Umiliani…) danno vita a strali al neon
elettrici e ipnotici come una lavalamp. Potrete chiamarlo easy listening se volete, ma gli
Air sanno essere colti e
ironici per chi sa leggere fra le righe… Come i Velvet nelle loro sfaccettature più
aurorali, risultano dolci eppure intossicanti come una dose di morfina, incarnano il
kitsch più à la mode come una Torre Eiffel di plastica rosa. Ci cullano con le loro
melodie finto-dozzinali, ci imbottiscono di decadenti e appiccicosi bonbon elettronici, ci
accarezzano come una bella bionda con le gambe lunghe e statuarie inguainate in calze nere
e pagliaccetti dai colori tenui in un vecchio reportage sui localini equivoci del
Quartiere Latino… Immergetevi nella magia camp di "Sexy Boy", "Ce
Matin Là" o "La Femme D'Argent" e ne tornerete totalmente rinnovati…
Uscirete dall'astronave dei messieurs Godin et Dunckel storditi e felici. E, evitando una
catasta di minimoog, sintetizzatori d'antan e mellotron, sussurrerete estatici toccando
terra : "Paris, j'arrive…"
Voto
9