In apnea, Teatro Sotterraneo, 2005
Uno – Il corpo del condannato, Teatro Sotterraneo, 2006
Tilt, Teatro Sotterraneo e la regia di Jillian Keiley, 2006
Post It, Teatro Sotterraneo, 2007
La Cosa 1, Teatro Sotterraneo, 2007
Suite, Teatro Sotterraneo, 2008
Dies Irae, Teatro Sotterraneo, 2009
I Sotterraneo migliorano come
il vino in cantina. Dall’iniziale “5 per una” a “11/10 in apnea” passando per “100°
C: cose di Andersen” fino al “Tilt”
di Intercity Toronto,
il gruppo fiorentino, (classe ’81-’82) meglio chiamarli “collettivo”, formato
da giovani attori usciti da scuole come il Laboratorio Nove, è divenuto a
ragione una delle realtà più vive e creative della nuova drammaturgia.
Difficili e complessi, ma anche evocativi e spiazzanti. Ti tengono incollati
alla poltrona di velluto rosso. Intelligenti e fini, arguti. Sempre sorprendenti
con trovate felici sintomo di ricchezza interiore e simbolo di una
esigenza-emergenza ad uscire all’aperto. Adesso hanno fatto outing di
consapevolezza artistica e non si possono più nascondere. Mezz’ora di energia
ed emozioni. In una tenda rotonda s’agita il microcosmo del prigioniero. Dentro
c’è tutto e manca tutto. Una tenda da doccia opaca, (l’Hitchcook di “Psycho”?)
che fa vedere il fuori ma lo distorce, sgravandone i contorni, quasi un igloo o
una canadese, tenda tibetana o indiana. Fumoso cerchio ovattato. Sotto si
svolge la vita come messa sotto osservazione, liturgia rituale sotto al vetrino
del microscopio. In una gabbia allo zoo. Ed in questo “Uno” proposto allo Zoom Festival 2006 (solo
Iacopo Braca in scena, bravissimo, stavolta non “schiacciato” dai colleghi istrionici
Claudio Cirri e Matteo Ceccarelli) viene fuori tutta la poetica e le
dinamiche dei Sotterraneo: un teatro vero e stilisticamente asciutto,
“sporco” di lucide emozioni che arrivano come lame affilate in corto circuiti, sudato
e denso, ansante e duro, graffiante e muscolare, fisico fino all’essenza della
fisicità che non sta nel gesto ma nella sua sublimazione, nell’immobilismo. La
condanna arriva in egual misura sul corpo e sulla mente. Braca parla con gli
“amici” impiccati: un toast, le sigarette, un pennarello, un cucciolo di
peluche, la dolcezza che viene estromessa, spostata di lato, messa alla porta.
Perché dentro c’è violenza. E’ violenza continua. Tutti presi all’amo nella
grande vasca di pesci rossi al Luna Park. La spugna, come gli occhiali da sole
da duro policeman, finisce in bocca ed il condannato vorrebbe parlare ma
nessuno lo capisce, ha urla rattrappite che muoiono in gola, se ne sta con il
cappuccio sugli occhi come il gobbo di Nostre Dame perché non c’è niente da
vedere. Tutto è falso o meglio falsato, irreale, virtuale nei movimenti da
Frankenstein, da dead man walking<.
Il tendone da circo lo cinge e lo protegge come una medusa dai lunghi tentacoli.
Il morto che respira spara con l’annaffiatoio fino al ripercorrere all’indietro
in una fast motion tutta la piece, tutta la vita. Che si ripete, che si ripete,
che si ripete. Per ricordarsi di dover vivere. O soltanto sopravvivere.
Voto
7 ½