I ceri rossi da cimitero
illuminano a giorno, macabro e deliziosamente trash,
il soggiorno- salotto centro e fulcro della casa di una comune famiglia del
Sud.
La Calabria, calabresi come
i Krypton dei fratelli Cauteruccio, della compagnia Scena Verticale è drammatica, isolata, colma di disvalori,
nel tunnel buio dell’ignoranza, è un urlo, una denuncia, un colpo di
mani per attirare l’attenzione, un disperato gesto di richiesta d’aiuto.
Le immagini di Padre Pio
sono ingombranti, le madonnine lacrimevoli e con le mani congiunte riempiono la
stanza, crocifissi appesi e santini buonisti, candele funebri, rosari agganciati in ogni dove,
figure del Presepio ai lati della stanza, la carta da parati a fiori ingiallita
di decine di anni fa, i fiori finti di plastica, mattoni al posto della mobilia
e soprattutto le caratteristiche sbarre d’acciaio che fuoriescono dai piloni in
cemento armato, già pronte ad essere usate ad prossimo figlio per costruire il
piano successivo della Torre di Babele icona dell’abusivismo tollerato,
taciuto, ed adesso anche tristemente condonato, del Meridione nostrano.
Tre fratelli abbivaccati
da una vita, appollaiati sulla noia, nel tedio del domani uguale all’oggi e all’ieri, disoccupati cronici, stanziano sul divano ed
attendono la madre protettiva in carrozzina.
In audio vanno i luoghi comuni e
le banalità di una puntata qualsiasi del Maurizio Costanzo Show
con Costantino ed Alessandra che litigano, o fanno finta di farlo.
Il contorno sono
cellulari, suonerie, messaggini, fotocamere, il gel
sui capelli, la palestra, gli occhiali da sole, i
vestiti alla moda, una noia mortale nel degrado e nello squallore.
Si assapora la tristezza
drammatica del non sense senza via d’uscita di Scimone e Sframeli, l’allegra
disabilità emotiva di Emma
Dante, la corrosiva debolezza dei sentimenti alla Davide Enia.
La madre paralizzata, maschilismo
confuso da una parte con l’amore protettivo dall’altro con schiavitù naturale
intrisa nella condizione femminile, altro cliché machista del sud del mondo, è
serva consapevole e benevola dei tre picciotti,
guaglioni senza futuro, perditempo senza arte né parte: il rito del caffè, poi
la ciambella, l’amaro, l’aranciata, pane e Nutella.
Gelosi l’uno dell’altro, mammoni,
eterni bambini viziati che parlano di “Amici”, del “Grande Fratello”, di Maria De Filippi, con in testa il mito
di Taricone, con l’unica lettura quotidiana della Gazzetta dello Sport ed il noleggio del “Gladiatore” o di “Titanic”.
I tre più madre
sono il corollario alla follia di Amleto ed Ofelia, gli unici due consapevoli
della realtà nella quale vivono: il primo, beckettianamente
non si vede mai ma sta sempre chiuso in camera, ha fatto un master in
Inghilterra ma poi è dovuto ritornare all’ovile per mancanza di lavoro e non si
sente parte di quella società così distante da lui, la seconda, violentata dal branco
dei tre fratelli in assenza del primogenito, parallelo con “Carnezzeria”
della Dante, è disperata e folle ed urla tutto il giorno accompagnata dal
coperchio di una bara.
Il personaggio più folle, il più
vero, il meno meschino.
Voto
7