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  29/04/2024 - 00:17

 

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Kitsch Hamlet
Compagnia Scena Verticale
Ideazione, testo e regia: Saverio La Ruina; con: Dario De Luca, Oriana Lapelosa, Rosario Mastrota, Fabio Pellicori, Giovanni Spina, Guglielmo Bardi.
Al Teatro Studio Scandicci – 25, 26, 27 febbraio 2005

 




                     di Tommaso Chimenti


I ceri rossi da cimitero illuminano a giorno, macabro e deliziosamente trash, il soggiorno- salotto centro e fulcro della casa di una comune famiglia del Sud.

La Calabria, calabresi come i Krypton dei fratelli Cauteruccio, della compagnia Scena Verticale è drammatica, isolata, colma di disvalori, nel tunnel buio dell’ignoranza, è un urlo, una denuncia, un colpo di mani per attirare l’attenzione, un disperato gesto di richiesta d’aiuto.

Le immagini di Padre Pio sono ingombranti, le madonnine lacrimevoli e con le mani congiunte riempiono la stanza, crocifissi appesi e santini buonisti, candele funebri, rosari agganciati in ogni dove, figure del Presepio ai lati della stanza, la carta da parati a fiori ingiallita di decine di anni fa, i fiori finti di plastica, mattoni al posto della mobilia e soprattutto le caratteristiche sbarre d’acciaio che fuoriescono dai piloni in cemento armato, già pronte ad essere usate ad prossimo figlio per costruire il piano successivo della Torre di Babele icona dell’abusivismo tollerato, taciuto, ed adesso anche tristemente condonato, del Meridione nostrano.

Tre fratelli abbivaccati da una vita, appollaiati sulla noia, nel tedio del domani uguale all’oggi e all’ieri, disoccupati cronici, stanziano sul divano ed attendono la madre protettiva in carrozzina.

In audio vanno i luoghi comuni e le banalità di una puntata qualsiasi del Maurizio Costanzo Show con Costantino ed Alessandra che litigano, o fanno finta di farlo.

Il contorno sono cellulari, suonerie, messaggini, fotocamere, il gel sui capelli, la palestra, gli occhiali da sole, i vestiti alla moda, una noia mortale nel degrado e nello squallore.

Si assapora la tristezza drammatica del non sense senza via d’uscita di Scimone e Sframeli, l’allegra disabilità emotiva di Emma Dante, la corrosiva debolezza dei sentimenti alla Davide Enia.

La madre paralizzata, maschilismo confuso da una parte con l’amore protettivo dall’altro con schiavitù naturale intrisa nella condizione femminile, altro cliché machista del sud del mondo, è serva consapevole e benevola dei tre picciotti, guaglioni senza futuro, perditempo senza arte né parte: il rito del caffè, poi la ciambella, l’amaro, l’aranciata, pane e Nutella.

Gelosi l’uno dell’altro, mammoni, eterni bambini viziati che parlano di “Amici”, del “Grande Fratello”, di Maria De Filippi, con in testa il mito di Taricone, con l’unica lettura quotidiana della Gazzetta dello Sport ed il noleggio del “Gladiatore” o di “Titanic”.

I tre più madre sono il corollario alla follia di Amleto ed Ofelia, gli unici due consapevoli della realtà nella quale vivono: il primo, beckettianamente non si vede mai ma sta sempre chiuso in camera, ha fatto un master in Inghilterra ma poi è dovuto ritornare all’ovile per mancanza di lavoro e non si sente parte di quella società così distante da lui, la seconda, violentata dal branco dei tre fratelli in assenza del primogenito, parallelo con “Carnezzeria” della Dante, è disperata e folle ed urla tutto il giorno accompagnata dal coperchio di una bara.

Il personaggio più folle, il più vero, il meno meschino.

Voto 7 

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