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Mishelle di Sant’Oliva
Testo e regia Emma Dante
Con Giorgio Li Bassi, Francesco Guida, luci Irene Maccagnani, produzione Sud Costa Occidentale
Il 20-21 marzo 2007 al Teatro Studio di Scandicci

 




                     di Tommaso Chimenti


Emma Dante: Il Festino, 2009
Emma Dante: cani di Bancata, 2007
Emma Dante: La scimia, 2006
Emma Dante: Mishelle di Sant’Oliva , 2005
Emma Dante: Medea
Emma Dante: MPalermu e Carnezzeria


Due teatri, due porti su mondi lontani. Due sipari che a sera si chiudono per riaprire i battenti la mattina con il sole. Tende zigrinate che coprono scheletri nell’armadio mentre lo spettacolo deve continuare. Padre e figlio sono legati da un unico filo, il filo della memoria, il filo delle Parche, il gomitolo che riannoda una vita, un’esca per attrarsi, trattenersi, non lasciarsi sfuggire. “Mishelle di Sant’Oliva”, con “Carnezzeria” e “Vita mia”, è uno dei lavori di Emma Dante più riusciti, densi e penetranti. Qui la figura femminile centrale delle piece della regista palermitana, sempre incentrate sulla musa Manuela Lo Sicco, è un Godot astratto di ricordo e fumo che c’è senza entrare mai in scena. Evocata. E la piece, tuta al maschile con Giorgio Li Bassi, il padre, e Francesco Guida, il figlio Salvatore che salva il genitore, ne guadagna uscendo dalla cristallizzazione dei personaggi della Dante: la sposa di Carnezzeria, la Mamma Santissima di “Cani di Bancata”, la madre di “Vita mia”, le due zitelle de “La scimia”. La madre, sempre matrigna leopardiana nella Dante, aleggia, veleggia e volteggia nell’aria, nei discorsi, nelle lacrime, nella collana di perle- cappio che padre e figlio si passano. Una madre che dona la vita e se la riprende con gli interessi. Un catenaccio che è paradosso di libertà con una chiave che alberga nelle mutande come scrigno di una cintura di castità. Ma non è un inno all’omosessualità. Il figlio obeso che mostra ed ostenta il suo corpo informe (ricorda Giancarlo Cauteruccio che però non ha così osato nel suo “Picchì mi guardi si tu si masculu”) è uomo, parla da uomo, si muove come tale. E’ la voglia di avvicinarsi al padre che lo porta ad emulare la madre, a fare il suo stesso mestiere, cioè la “bottana”, a perpetrare le sofferenze, “Le onde del destino”, come un macigno appeso al collo per essere scherniti e derisi. La casa così diventa, ritorna ad essere, rifugio solitario di questo rapporto malato ed edipico tra un anziano ebete che beve al biberon, forse lacrime forse il latte acido delle mammelle della moglie fuggita, ed un giovane che si attilla la sera per passeggiare nel rione, deforme e clownesco, brechtiano e ambiguo, gelatinoso e cellulitico. Pochi i body contact tra i due rispetto al sudore mischiato e continuamente sottolineato delle precedenti rappresentazioni della Sud Costa Occidentale. Sulle note di “Sei bellissima” della Bertè danzano con passi (di)sgraziati, trasfigurati nel transfer amplessico di un ultimo abbraccio.

Voto 7 ½ 

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